2016-09-17 17:00:00

Oxfam: i conflitti armati sono il maggior ostacolo allo sviluppo


In vista dell’imminente Assemblea generale dell’Onu, in programma a New York il 19 e 20 settembre, sulla “crisi globale dei rifugiati“, vari organismi internazionali (tra cui Acnur, Banca mondiale, Ifad) hanno presentato i loro “rapporti”, in particolare sulle migrazioni forzate: 65 milioni di sfollati e rifugiati interni e 20 milioni di profughi all’estero. Guerre e conflitti sono la prima causa di questa crisi globale. Elisa Bacciotti, direttrice di Oxfam Italia, commenta questa grave situazione umanitaria al microfono di Marcello Storgato:

R. – Abbiamo analizzato una realtà molto triste: quella della situazione che si trovano ad affrontare milioni di rifugiati ogni anno. Quattro milioni di persone in fuga da un conflitto, che hanno trovato la possibilità di fuga in un Paese che però è colpito da un altro conflitto: sono i dati che devono farci riflettere. Chiediamo un’azione tempestiva e risolutiva per dare a queste persone una speranza e arrivare in un contesto migliore.

D. – L’Ifad, alcuni giorni fa, ha rivolto un appello ai governi affinché si punti sullo sviluppo delle zone rurali e della produzione agricola, per risolvere i problemi della povertà e della fame nel mondo. Ma i conflitti non sono un grande ostacolo?

R. – Sicuramente lo sono ed è per questo che anche i governi e le istituzioni internazionali devono fare uno sforzo per risolvere le cause che inducono queste persone a mettersi sulla via di fuga per conflitti, guerre e altre violenze, in maniera parallela o anche in maniera preventiva rispetto alla necessità di investire appunto nello sviluppo rurale e nella lotta alla fame. Di fatto, noi chiediamo ai governi del mondo di risolvere davvero le cause-chiave che hanno a che fare con la necessità di arrivare a finalizzare processi di pace nelle maggiori crisi che oggi coinvolgono il nostro mondo, nelle cause che oggi spingono molte persone a fuggire. Quindi, chiediamo un impegno ai governi nell’investire in processi di pace che poi rafforzino le istituzioni nazionali e locali di questi Paesi; nel momento in cui queste istituzioni siano effettivamente rafforzate, si può anche lavorare a un investimento in termini di sviluppo rurale e di lotta alla povertà rurale. Un investimento deve partire dai bisogni e dalle esigenze dei piccoli contadini e dei piccoli allevatori e coltivatori, che sono le persone che oggi sfamano il pianeta ma che sono le prime a soffrire la fame.

D. – Abbiamo esperienza, per esempio nel Kivu, di tante famiglie che seminano e coltivano il loro campo, ma poi devono scappare perché arriva un conflitto o un’occupazione …

R. – Esatto. E’ per questo che il problema va affrontato da due parti: da un lato, il tema di finanziamenti e aiuti della comunità internazionale, delle agenzie internazionali che devono però essere spesi nel modo giusto; ma questo non è possibile da solo: occorre anche un investimento in quella che si potrebbe chiamare good governance e ancora prima un investimento nei processi di risoluzione di pace, un investimento che non è finanziario: è politico, della comunità internazionale, di andare a risolvere delle crisi. Non è impossibile: basta volerlo e basta investirci un certo tipo di capitale e di sforzo.








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