2016-09-18 14:01:00

Spadaro: per Francesco, la riforma è frutto di discernimento continuo


"La riforma e le riforme nella Chiesa". E' il titolo di un volume, pubblicato in questi giorni dalla Queriniana, che raccoglie i 30 saggi inediti scritti da altrettanti esperti - tra teologici, storici della Chiesa, ecumenisti e canonisti - che hanno preso parte ad un seminario promosso da "Civiltà Cattolica", dal 28 settembre al 2 ottobre del 2015 proprio sul tema della riforma della Chiesa, nel Pontificato di Papa Francesco. Alessandro Gisotti ha intervistato al riguardo il direttore di "Civilità Cattolica" e curatore del volume, padre Antonio Spadaro:

R. – C’è da intendere bene il concetto di riforma. Papa Francesco non vuole riformare la Chiesa in senso astratto; il suo gesto è quello di porre, di ri-porre Cristo al centro di tutto. Poi sarà Lui a riformare la Chiesa. Però bisogna porre delle condizioni, cioè bisogna porre la Chiesa nella condizione di essere riformata da Cristo. Il potere del Vangelo è un potere in questo senso rivoluzionario, dirompente: cioè, posto all’interno della Chiesa può profondamente cambiare. Quindi, il concetto di tradizione è un concetto dinamico che va letto alla luce della capacità di riforma che ha il Vangelo.

D. – Papa Francesco ha ripetuto più volte – e notoriamente lo troviamo in “Evangelii Gaudium” – che è più importante avviare processi che occupare spazi. Ecco: questo chiaramente dà anche l’idea della dinamicità del processo impresso da Francesco. Questo come si armonizza poi con un’idea di riforma e quindi di qualcosa che comunque poi deve andare a compimento?

R.- Sì: la vita, la vita stessa è un processo; è un processo complesso che si articola in tante dimensioni. Dire che la riforma è un processo significa che c’è una storia, che c’è una vita, che le espressioni culturali, anche, il modo stesso di vivere la Chiesa non è uguale, uniforme ovunque nel mondo: ce ne siamo resi conto soprattutto con gli ultimi Sinodi. Ecco, la riforma della Chiesa non può non passare da questi elementi di complessità, ma possiamo dire anche di ricchezza.

D. – Il discernimento è ovviamente un’altra parola-chiave per ogni Gesuita e tanto più per il primo Papa gesuita. Il cammino si apre camminando: in qualche modo Francesco mostra anche il coraggio di non dare linee definite, di essere attento anche alla realtà, di non imporsi alla realtà …

R. – Sì: il discernimento è anche il criterio fondamentale di Francesco. Potremmo dire che Papa Francesco sta interpretando il suo Ministero petrino come un ministero di discernimento. Il discernimento significa cercare e trovare Dio nel modo in cui Lui si manifesta nella storia; non possiamo partire con idee rigide e precostituite: cioè, dobbiamo capire come Lui parla oggi alla Chiesa e al mondo. Per un processo vero di riforma, la cosa fondamentale è porsi in un atteggiamento aperto, di discernimento, e che sia in grado di leggere la storia concreta. La Chiesa vive nel mondo, vive il suo rapporto con il mondo che è fondamentale; però, deve entrare in dialogo, deve capire cosa succede nella storia. Ecco perché il discernimento è fondamentale per la riforma.

D. – Come è noto, ci sono anche delle resistenze, a volte delle incomprensioni rispetto a quello che è l’incedere anche nel processo di riforma di Papa Francesco. Secondo lei, dove si può trovare la radice, anche in una mancata sufficiente comprensione – per esempio – di che cosa voglia dire “discernimento” per un uomo come Bergoglio?

R. – Papa Francesco, parlando in maniera privata ai Gesuiti polacchi durante il suo viaggio, ha detto una cosa molto importante. Ha detto chiaramente che a volte la formazione, anche dei sacerdoti, è molto legata all’applicazione un po’ rigida di norme, cioè si stabilisce una norma e quella si applica sempre, ovunque, dappertutto, per tutti. Questo criterio è molto rassicurante, perché dà delle linee molto rigide e dei binari da cui il treno non si distacca, appunto. Questa è una visione molto rassicurante, ma non è una visione evangelica. Papa Francesco ha parlato del discernimento e del fatto di guardare alle esigenze della storia. Queste, a volte, fanno paura. Cioè, evidentemente in alcune persone, anche in buona coscienza, ogni riferimento alla singolarità delle storie oppure alla necessità di qualche cambiamento, genera uno stato di ansia, e a volte il Vangelo è ansiogeno perché ci chiede di cambiare cose, abitudini anche a cui noi siamo legati. Direi: è naturale, anzi è proprio il segno che la riforma della Chiesa procede bene, provare un certo senso di ansia. Si tratta di viverlo bene, questo; cioè, di vivere questo come un pungolo per andare avanti, non come un ostacolo o una barriera.








All the contents on this site are copyrighted ©.