2016-09-21 14:47:00

Obama: 360 mila rifugiati in 50 Paesi. Centro Astalli, numeri irrisori


In 50 Paesi raddoppierà il numero dei profughi accolti: 360 mila il prossimo anno. Le parole di Barack Obama ancora risuonano all’Onu, dove il presidente Usa ieri, parlando in apertura dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha parlato della drammatica realtà delle vittime dei conflitti, annunciando che i Paesi partecipanti al parallelo Summit sui rifugiati apriranno le porte ad un maggior numero di profughi. Cifre che però hanno suscitato perplessità tra le organizzazioni che di rifugiati si occupano quotidianamente, come il Centro Astalli il servizio dei gesuiti per i rifugiati in Italia. Francesca Sabatinelli ha intervistato il presidente, padre Camillo Ripamonti:

R. – L’intervento di Barack Obama ha focalizzato un po’ l’attenzione sui rifugiati, però, come al solito, quando si tratta di tirare le somme e vedere quante persone si accolgono e quanti soldi si investono sul versante dei rifugiati, lì non ci si trova più, perché i numeri sono irrisori rispetto alla questione migratoria, soprattutto per quanto riguarda le persone sfollate che nel mondo sono 65 milioni, e 360 mila su 50 Paesi vuol dire meno di 10 mila persone per Paese. E questa è una cifra, se considerati, appunto, i 65 milioni di persone coinvolte, veramente irrisoria.

D. – Allora come mai un annuncio davanti ad un’Assemblea così importante, quando poi basta fare una divisione per capire la poca sostanza di quanto detto?

R. – Perché quando si tratta di numeri e li si gestisce tutti insieme fanno una certa impressione. Così come anche i 3 miliardi di dollari, di cui si è parlato, da investire in più sul fronte umanitario, però se pensiamo agli investimenti che vengono fatti in armi negli stessi Paesi nei quali ci sono i conflitti, da cui scappano queste persone allora, anche lì, i conti non tornano, perché gli investimenti sono irrisori rispetto ai danni che, invece, le armi e gli investimenti sulle armi fanno negli stessi Paesi. Barack Obama non poteva fare a meno di parlare di rifugiati, perché è una questione ormai strutturale e globale, da cui non si può prescindere. Però l’approccio, sia per l’Europa, che per il presidente degli Stati Uniti, purtroppo, è un approccio che non considera realmente l’entità del fenomeno. Il rischio è che se non lo consideriamo nell’entità del fenomeno rischiamo di non risolvere e di non affrontare adeguatamente la questione.

D. – Senza considerare che nei mesi trascorsi le organizzazioni per i diritti umani hanno stigmatizzato il fatto che gli Stati Uniti abbiano accolto pochissime migliaia di rifugiati siriani, di fronte ad un numero impressionante…

R. – Sì. Oltre al fatto che ultimamente stanno emergendo quegli interessi – diciamo – internazionali dei Paesi che sono un po’ alla base del conflitto siriano e dei conflitti in generale. Se pensiamo, appunto, alla diatriba, anche diplomatica, che sta interessando ultimamente la Russia e gli Stati Uniti, si evidenziano un po’ quelli che sono gli interessi che ci sono sotto alla questione siriana e che alla fine non portano alla vera soluzione del conflitto che, non dimentichiamolo, se fosse stato fatto cinque anni fa non avrebbe portato a quel numero così impressionante di rifugiati a cui attualmente assistiamo e di cui gli Stati non si stanno occupando direttamente, perché, e anche questo non dobbiamo dimenticarlo, l’accordo con la Turchia non ha fatto altro che bloccare queste persone che scappano dalla guerra, senza però affrontare e risolvere il loro problema, che è quello di arrivare in sicurezza in un altro Paese in cui la guerra non c’è e quindi la possibilità di ricominciare una vita nuova, diversa.

D. – Questo ci riporta al fatto che proprio la Turchia, assieme al Libano e assieme alla Giordania, per quanto riguarda i profughi che fuggono dalla Siria, ma ci sono anche altri Paesi come il Kenya, l’Etiopia, che sono tra i Paesi poveri che accolgono però il maggior numero di profughi in generale rispetto ai Paesi più ricchi, che in realtà non ne accolgono che un 14 per cento, cifre di Ong…

R. – Sì, esattamente! Però, ancora una volta, si fa leva sull’elemento della paura, dell’invasione, dicendo che 65 milioni di persone si stanno riversando nei Paesi occidentali o in Europa, quando in realtà sappiamo benissimo che questo flusso è un flusso che riguarda soltanto una minima parte, che è uno o due milioni di persone e quindi non quei numeri che si riversano nei Paesi limitrofi, che invece dimostrano, rispetto ai Paesi ricchi dell’Occidente, una capacità di solidarietà che noi ci sogniamo.

Più possibilista, ma sempre preccupato il tono dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Francesca Sabatinelli ha intervistato Federico Soda, direttore dell'Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo e rappresentante presso la Santa Sede dell'Oim:

R. – La cifra dei 360 mila non possiamo dire che sia irrisoria, perché comunque ci saranno 360 mila persone che, fra qualche anno, saranno in una situazione stabile e sicura, con un futuro dignitoso. Certo che, quando la inquadriamo nel contesto attuale e globale, questo deve essere solo un inizio. Con 21 milioni di rifugiati al mondo, i Paesi devono assolutamente considerare questo un inizio e sforzarsi di più! Anche perché io penso che saranno i soliti 4-5-6 Paesi a prenderne la maggior parte.

D. – Secondo delle voci che arrivano dall’amministrazione americana, sarebbero sette Paesi europei – Romania, Portogallo, Spagna, Repubblica Ceca, Italia, Francia e Lussemburgo – che avrebbero promesso di accogliere almeno 10 volte più rifugiati rispetto a quello che hanno fatto nel 2015…

R. – Abbiamo un problema in questo momento ed è che i governi sovente fanno tante promesse e si impegnano a fare certe cose e poi, in realtà, siamo molto lenti ad attualizzare questi impegni e queste promesse. Quindi, anche a livello europeo, sono state fatte tante promesse per la distribuzione di rifugiati che arrivano in Italia e in Grecia, eppure questo programma va avanti in modo troppo lento. Le promesse sono una bella cosa e anche il fatto che il presidente Obama abbia convocato questo Summit è importantissimo, perché è la prima volta che c’è un Summit su questo tema. Quindi dobbiamo riconoscere questo gesto politico estremamente importante, riconoscere che tanti Paesi si stanno facendo avanti, però anche che le promesse non bastano e che dobbiamo impegnarci tutti più seriamente per arrivare veramente a dei numeri notevoli, che avranno un impatto significativo su tutti i rifugiati del mondo.








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