2016-09-24 14:22:00

Giubileo Catechisti, Biemmi: annunciare fede in una storia


"Chiarire chi è il testimone è la questione decisiva in tutta la proposta della fede". Fratel Enzo Biemmi - già direttore dell'Istituto Superiore di Scienze Religiose di Verona, per anni alla guida della rivista Evangelizzare, tra i relatori alle giornate preparatorie promosse dalla CEI per il Giubileo dei Catechisti - rimette a fuoco alcuni concetti di fondo da cui ripartire per un nuovo paradigma con cui annunciare il Vangelo e trasmettere la fede. "Il testimone è prima di tutto colui che sa vedere l’azione di Dio già in atto nella storia di una persona. Non immagina di portare lui la fede ma riconosce una fede già elementare, in nuce. Quindi il primo atto di testimonianza è sapere vedere Dio in tutte le persone. Se noi non ci accorgessimo che siamo già preceduti da Dio non potremmo fare nulla. Il testimone è poi chi a nome della Chiesa parla di Gesù e non può farlo se non attraverso la storia personale di persona salvata. Non nel senso che deve parlare continuamente di sé – non è a sé infatti che deve condurre – ma si deve sentire che tutte le sue parole sono permeate dall’esperienza che ha fatto di Gesù. Il testimone non informa semplicemente. In altri termini, è competente a narrare la storia di Gesù chi è già stato salvato dalla storia che narra. E' un aspetto fondamentale e le persone lo percepiscono: sentono se sono parole di ruolo quelle che ascoltano, oppure se uno c’è in quello che dice, se è presente. Insomma il testimone è chi aiuta a compiere il passo dell’affidamento nella fede delle persone in quanto esse vedono che già è realizzato nella propria vita ciò che viene raccontato con le parole."

Un nuovo paradigma di annuncio

"La catechesi va tirata fuori da quel modello prettamente scolastico in cui è stata chiusa per dei secoli e deve tornare ad avere quella dimensione narrativa e kerigmatica (come Papa Francesco ha recuperato nella EG). Si tratta prima di tutto, dunque, di introdurre in una storia: quella di colui è accompagnato, quella di colui che annuncia, e quella della comunità ecclesiale che è continuamente raggiunta dall’amore di Dio. Introdurre in una storia è molto più forte che spiegare delle cose, dare delle norme morali. Queste di certo sono importanti ma solo quando passiamo all’esplicitazione della conoscenza della fede e degli orientamenti di vita che nascono dalla fede stessa e anche dei gesti a cui la fede porta. Se la fede è una questione puramente intellettuale - spiega fratel Biemmi - allora i dogmi diventano delle ideologie, come ci ricorda il Papa, e le norme morali dei pesi che mettiamo sulle spalle delle persone".

A che punto siamo?

"Ci sono ancora correnti ecclesiali nostalgiche che attribuiscono proprio a questa prospettiva il fallimento dell’annuncio. Secondo me siamo al punto che questa spoliazione che stiamo vivendo (persone che lasciano, ragazzi che dopo la cresima abbandonano le parrocchie…) paradossalmente è un aiuto perché, segna un momento di purificazione, di deserto che ci fa tornare all’essenziale. Secoli di catechesi che hanno avuto quasi esclusivamente una impostazione di tipo cognitivo e di tipo morale si fanno fatica a smaltire - precisa ancora Biemmi - e alle volte a qualcuno possono venire i sensi di colpa, comprensibili, perché si teme che il nuovo paradigma rischia di annacquare la fede. Il Papa ci ricorda invece che l’essenziale si salvaguarda lasciando andare via quello che non è. Altrimenti le dottrine, le regole, i riti diventano ossa aride per le persone. Non parlano più perché manca l’incontro fondamentale con il Signore".

Le sfide dei catecumeni

Fr. Biemmi è Responsabile del Secondo annuncio (CEI) e alla luce di questa specializzazione sottolinea non solo la necessità di scoprire il 'valore' delle perdite che "ci aiutano a capire che un certo tipo di annuncio non regge, non incide nelle vite delle persone" ma approfondisce anche il valore dei nuovi arrivati: il loro stupore, una esperienza globale di incontro con il Signore che ha completamente risvegliato la loro vita. I convertiti aiutano la comunità cristiana a tornare proprio all’essenziale e suggeriscono un rinnovamento nella catechesi ma anche in tutta la pastorale. Essi sono un dono ma un dono scomodo. Riportano la gioia e la freschezza nella comunità ma operano uno scombussolamento, come quando nasce un bambino in una famiglia. Una nuova vita chiede spazio, riformulazione, revisione dello scontato. Se noi li blocchiamo negli schemi vecchi muoiono loro e chi ha contribuito a generarli". Da qui una linea guida per il futuro: "Le comunità ecclesiali devono rivedere le loro liturgie, le loro programmazioni pastorali e soprattutto il loro stile di vita, in termini di accrescimento di spazi relazionali e di reciproco ascolto. Noi abbiamo parrocchie - conclude il religioso catecheta - comunità e globalmente una Chiesa strutturate per i già credenti. E’ una grossa sfida ma bisogna ripartire da qui".

 

 

 








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