2016-09-24 14:12:00

Commozione tra i familiari: "La vicinanza del Papa ci dà conforto"


Grande commozione tra i familiari delle vittime della strage di Nizza presenti in Aula Paolo VI per incontrare Papa Francesco. Ascoltiamo al microfono di Michele Raviart alcune testimonianze, a partire da quella Paolo Celi, presidente dell’associazione “Amicizia Francia-Italia”:

R. – Il Santo Padre è fantastico! È veramente molto importante per noi, per tutta la città e per tutte queste persone, perché siamo tutti in lutto. I familiari hanno subito la perdita dei loro cari, ci sono i feriti, ci sono i soccorritori: tantissime persone. Lì, quella sera erano in 30mila, ognuno di loro ha bisogno di aiuto. Il Santo Padre ha accolto subito la nostra domanda di aiuto. E quindi per tutti loro è molto, molto importante.

D. – Quanto sono state di conforto le parole del Papa che poi è intervenuto immediatamente dopo l’attentato?

R. – Sono state veramente di aiuto e di conforto. Quando abbiamo portato questo suo messaggio a ogni persona che incontravamo e che era nella sofferenza, abbiamo visto un sorriso in ognuno di loro. A noi ha dato l’energia da subito e penso che oggi, veramente, dia il coraggio a tutti noi per riprendere una vita normale e pensare al futuro.

D. – Dalila Staccoli, lei è stata ferita quella notte: che cosa ricorda?

R. – Ho tantissimi ricordi. Un ricordo sono gli occhi dell’attentatore, che è la cosa che non scorderò mai e che mi perseguitano ancora adesso. Un’altra sensazione che ho è quella dei suoni: i rumori, le urla delle persone, dei genitori che non trovavano i figli. E un altro ricordo è anche il dopo: ho trovato tanta solidarietà da parte delle persone che erano lì, che mi vedevano ferita e quindi sanguinante. Questo mi ha dato subito la forza: il fatto di vedere che c’era qualcuno intorno a me, mi ha dato sicurezza. E anche oggi essere qua è un’emozione, perché ci fa capire che comunque non si è dimenticata quella serata.

D. – Quali sono i primi pensieri quando si è di fronte a un avvenimento del genere, che è imponderabile?

R. – Noi eravamo vicino ad un bar sulla Promenade. Quindi il pensiero era: “È uno che sta andando al bar a scaricare qualcosa”. Poi, in realtà, ci stavamo rendendo conto di questo camion che continuava a rimanere acceso e, anzi, faceva rumore. E quindi ci siamo resi conto che non era fermo – non era spento – ma stava proseguendo. Pensavamo poi ci fosse un ubriaco, perché si vedeva proprio che andava qua e là, a zig-zag. Poi, in realtà, dopo ci siamo resi conto, vedendolo negli occhi, che non era ubriaco per niente: era anzi molto determinato, molto! E quindi ho la visione di questi occhi neri che proprio puntano: puntava le persone, guardava dove c’erano più persone e quindi una maggiore probabilità di prendere qualcuno ... e puntava.

D. – Anche lei, Loredana Bonaventura era presente sulla Promenade des Anglais...

R. – Io stavo filmando il concerto da inviare a mio marito che era in Italia. Ero con mia figlia di dieci anni. A un certo punto mia figlia mi chiede: “Mamma perché ti giri?”, e io le rispondo: “Per far vedere a papà che c’era tanta gente”. Mentre mi giravo, è arrivato il camion. Ha sfiorato la bambina, io sono riuscita a toglierla per tempo. Purtroppo ha travolto il ragazzo che era davanti a noi, perché, anche se cerchi di gridare però le grida sono talmente alte che, per quanto tu possa gridare, non vieni ascoltato, non ti sentono. E ho visto travolgere tutte le persone.

D. – Che cosa si pensa in quel momento?

R. – Nel giro di pochi secondi ti trovi catapultato in una dimensione surreale. Per quanti video puoi vedere, per quante persone puoi ascoltare, quello che vivi è impossibile da raccontare e da trasmettere. Io ho subito pensato che fosse un ubriaco. Mia figlia – dieci anni – mi gridava: “È l’Isis!”. Ha subito messo a fuoco la situazione. Quello che pensi è che la follia umana non abbia limite. Io come mamma mi preoccupo di dire a mia figlia come si deve comportare, quando in realtà la cosa più difficile che forse un genitore deve fare è trasmettere al figlio è come vivere in sicurezza ogni volta che esce di casa.

D. – Come vive la città ora che sono passati mesi?

R. – C’è tanto silenzio sulla Promenade. Nizza era una città viva, caotica, nel senso positivo; invece ora è in silenzio totale.

D. – E cosa significa per voi essere qui, accolti dal Papa?

R. – A me serve da conforto. Voglio partecipare al suo messaggio. Dobbiamo comunque stare uniti. Non siamo tutti uguali: i cattivi sono uno – quelli sono il diavolo ed è vero – ma i buoni sono di più.

Sull’incontro con il Papa ascoltiamo anche il vescovo di Nizza, mons. André Marceau:

R. – Nous sommes très heureux de rencontrer le Pape François: les victimes, leurs familles …
Siamo felici di incontrare Papa Francesco: le vittime e le loro famiglie sono grati e riconoscenti della comprensione per quello che stanno vivendo, che è molto pesante, e per il pensiero che il Papa – il Papa! – è vicino a loro. Si era espresso con parole molto belle appena dopo l’attentato e non li dimentica oggi. Molte persone sono colpite dall’atteggiamento del Papa e aspettano ancora parole d’affetto, parole di vita e di speranza che le aiutino a vivere, a superare questo momento molto, molto difficile.

D. – A poco più di due mesi dall’attentato, qual è la situazione in città? Come si vive a Nizza, ora?

R. – À Nice aujourd’hui la population est très touché. La population porte le poids de cet évènement …
La popolazione di Nizza è molto colpita. Porta il peso di questo evento e un po’ se lo porta nel quotidiano; c’è anche un po’ di paura … in alcuni casi c’è stata l’espressione di un sentimento di odio, di violenza. Ma bisogna lavorare affinché i cuori si pacifichino, affinché ritorni la pace e perché le persone tornino a credere che vinceranno la vita e l’amore …

D. – Che spiegazioni si è data la comunità di fedeli dopo questo attacco? Come ha reagito, proprio in quanto cristiani?

R. – Je crois qu’il ne faut pas se laisser aller et que les Chrétiens – les Chrétiens! – ont un message …
Credo che non dobbiamo lasciarci andare e che i cristiani – i cristiani! – abbiano da portare un messaggio di speranza e di vita e possono farlo essendo vicini: vicini alle persone, essendo solidali, accompagnando le persone, anche. Ci sono stati tanti preti – cito un esempio – che continuano a fare visita a persone o famiglie ferite oppure dopo i funerali ci sono legami che rimangono molto vivi. Io credo che la nostra presenza di cristiani significhi dire che Dio è il Dio della vita, che Dio è il Dio dell’amore, che Dio è il Dio della speranza; Gesù ci ha aperto questa strada e noi dobbiamo continuare a seguirla …

D. – Ci sono stati grandi momenti di solidarietà, anche da parte della comunità musulmana, dopo l’attentato: che cosa significano questi gesti?

R. – Voilà, avec la communauté musulmane, qui a été très touché par l’attentat : il y a eu beaucoup …
Bè, la comunità musulmana è stata colpita dolorosamente dall’attentato: ci sono stati molti morti musulmani. Ma noi siamo loro molto vicini. Esiste un gruppo di relazioni tra le diverse comunità cristiane e la comunità musulmana e gli ebrei. Esiste questo luogo che ci mette in rapporto gli uni con gli altri e che fa sì che portiamo insieme un medesimo messaggio di pace, un medesimo messaggio che ci aiuti a vivere insieme, un medesimo messaggio per le nostre comunità, perché le nostre comunità non portino l’esclusione, l’odio, e che si possa essere insieme. Ecco: questo è il bel messaggio che vogliamo portare insieme.








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