2016-09-25 10:30:00

Europa e migranti. Forti: servono risposte europee condivise


Sale il bilancio del naufragio avvenuto nelle acque egiziane mercoledì scorso. Le vittime sono 162, mentre questa mattina 25 siriani sono sbarcati sulla costa leccese. Secondo l’Organizzazione internazione delle migrazioni (Oim), sono oltre 300mila i migranti arrivati in Europa via mare dall'inizio dell'anno: circa 166mila in Grecia e oltre 130mila in Italia. E la cancelliera tedesca Merkel apre all’accoglienza di "centinaia" di immigrati regolari attualmente presenti proprio in questi due Paesi, per alleggerire la pressione su Roma e Atene. A Vienna, i Paesi coinvolti nella rotta balcanica dell’immigrazione si incontrano oggi per un summit sul controllo delle frontiere. Maria Carnevali ha sentito Oliviero Forti, responsabile dell’area immigrazione di Caritas italiana:

R. – Ci troviamo ormai in una fase di stallo: da un lato, una grande pressione migratoria dall’Africa che continua e io vorrei sottolineare che la mia preoccupazione è per i tanti minori non accompagnati. Ma dall’altro, a fronte di questa pressione, abbiamo ormai un’incapacità cronica in tutta Europa per scelte anche e soprattutto di tipo politico, di dare risposte che siano sostenibili, non solo in termini di accoglienza ma – come anche il nostro premier ha ricordato durante i lavori a New York e non solo lui – l’incapacità di sostenere questi Paesi affinché le persone abbiano il diritto di rimanere nella propria terra. Ecco, tutto questo sta creando – ripeto – situazioni che, al di là delle morti che sono sempre drammatiche, danno però un senso di disorientamento diffuso. Oggi, vere risposte nessuno ne ha, una strategia vera non esiste e quindi dobbiamo veramente porci la domanda su come poter proseguire di fronte a questa grande sfida.

D. – Cosa, secondo lei, rende adesso impossibile o, come diceva anche lei, in stasi il dialogo internazionale? Perché questo non funziona? Perché non si riesce a trovare un accordo internazionale?

R. – L’immigrazione è un fenomeno complesso nella misura in cui le cause che determinano i movimenti di popolazioni sono altrettanto diverse. Abbiamo la vicenda siriana che ci insegna come l’instabilità politica, la guerra civile spesso producano non solo morti dove questa viene combattuta, ma anche tanti lungo le rotte delle migrazioni che riguardano milioni di persone. La vicenda siriana insegna come – se non c’è una seria politica internazionale per prevenire innanzitutto questi conflitti, o intervenire seriamente affinché questi vengano in qualche modo risolti – noi con l’immigrazione avremo a che fare ancora per molti anni. E poi c’è tutta la grande questione degli squilibri che a livello planetario ormai gestiamo da decenni: in Africa, in Sud America, nel Sudest asiatico… Ecco, queste sono le grandi questioni che ci accompagneranno per i prossimi decenni. Un intervento serio è un intervento dove i Paesi concordemente intorno a un tavolo cercano di trovare soluzioni al netto dei propri interessi nazionali. Fin quando non avremo questo atteggiamento, credo che dovremo ancora contare tristemente i morti in mare o anche lungo le rotte terrestri.

D. – Ma quali sono i limiti e gli interessi che non permettono questa risoluzione del problema?

R. – Sono molteplici, a iniziare da interessi di natura economica. In particolare, interessi  relativi alla gestione delle fonti energetiche che portano i Paesi, in primis i grandi consumatori di energia, a non investire seriamente in politiche che permettano nel lungo periodo di scoraggiare quello che sicuramente è un diritto fondamentale: quello all’emigrazione. Ma oggi sappiamo che chi arriva, avendo anche la possibilità di ascoltarli, avrebbe certamente preferito una vita nel proprio Paese. Ma tutto quello che purtroppo oggi viene offerto a queste persone ai nostri occhi è pari a zero, ma anche ai loro. E quindi questo evidentemente costituisce ancora la forte molla che li spinge a scegliere di intraprendere questi viaggi.

D. – Quando ci sono naufragi con numerose vittime, tra cui bambini, l’opinione pubblica si ferma, ma dopo poco si ricomincia senza mettere in campo politiche a sostegno delle popolazioni. Quali, secondo lei, sono gli interventi maggiormente necessari, a oggi?

R. – Noi abbiamo, nell’immediato, la necessità di ritrovare quel senso di responsabilità a livello europeo, perché noi in Europa siamo e con l’Europa dobbiamo dare delle risposte ma queste non arrivano perché stiamo assistendo e vedendo situazioni molto diverse, atteggiamenti molto diversi, assistendo a un rafforzamento delle frontiere, al rinvio in Italia di minori anche in spregio agli accordi internazionali… Quindi, una chiusura a riccio dei Paesi rispetto a un tema che fa paura, che politicamente è molto sensibile ma che, torno a ripetere e non lo faccio evidentemente solo io, ormai lo sentiamo da più tempo, deve essere affrontato congiuntamente perché i migranti vogliono arrivare in Europa. Non vogliono arrivare in Italia: l’Europa è l’orizzonte e quindi come Europa questo orizzonte va guardato e le misure che vanno adottate devono essere misure europee. A oggi, non sembra ci siano le condizioni e quello che stiamo vedendo ne è la prova più tangibile.








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