2016-09-27 13:36:00

Unione Europea: minaccia terrorismo per alcuni Paesi


Il coordinatore Ue antiterrorismo Gilles De Kerchove ha parlato ieri, durante un’audizione in commissione Libertà Civili all’Europarlamento di Bruxelles, di una grave minaccia terroristica per alcuni Paesi dell’Unione Europea. Desta preoccupazione l’ampio numero di lupi solitari “diretti o ispirati” dall’Isis presenti sul suolo europeo, “le persone affette da disturbi mentali che possono emularli” e “i legami tra terrorismo e criminalità”. Andrea Walton ne ha parlato con Andrea Carati, esperto di  Sicurezza e Studi Strategici presso l’Ispi:

R. – E’ una minaccia simile a quella cui abbiamo assistito quest’estate: quindi la possibilità che alcuni cosiddetti 'lupi solitari' possano colpire, come è successo del resto la scorsa estate in Germania, in Francia.. Questa è l’aspetto probabilmente più preoccupante, più che una minaccia alla sicurezza di tipo tradizionale su vasta scala, con attentati su vasta scala.

D. – Quali Paesi rischiano maggiormente?

R. – Questo è difficile dirlo… La Francia è uno dei Paesi nel mirino, perché – come sappiamo – ha la comunità musulmana più grande fra i Paesi dell’Unione Europea. Direi la Francia per questa ragione, però – appunto – la scorsa estate abbiamo visto che anche la Germania non è rimasta immune da questo tipo di minaccia.

D. – I foreign fighters di ritorno dalla Siria e i lupi solitari già presenti sul suolo europeo costituiscono un grave rischio per la sicurezza?

R. – Sì, anche se l’esperienza degli ultimi 2-3 anni ha insegnato che poi le minacce alla sicurezza provengono anche da cittadini che hanno la cittadinanza di Paesi europei. Probabilmente l’Intelligence paradossalmente riesce a controllare meglio i cosiddetti foreign fighters piuttosto che i cittadini comuni, che hanno già la cittadinanza e che passano attraverso un processo di radicalizzazione sul proprio territorio. Quelli sono molto più difficilmente controllabili e quindi rappresentano paradossalmente una minaccia ancora maggiore.

D. – L’Is, seppure indebolita, è ancora in grado di coordinare o di lanciare attentati terroristici in Europa?

R. – In parte sì. Anche se il problema è diverso, nel senso che la minaccia che costituisce l’Is non è tanto quella di controllare o di fornire una regia a questi attentati: il problema è l’attivazione ideologica di cittadini che o frequentando delle moschee oppure entrando in contatto con gruppi radicali possano attivarsi. Quindi l’Is è una minaccia nel senso che può dare una veste, un significato ad azioni che però vengono maturate, vengono originate da contesti molto lontani dallo Stato Islamico.

D. – C’è il rischio che la Libia, immersa in una cronica instabilità, possa divenire una nuova centrale operativa del terrorismo internazionale?

R. – Sì, come lo è ogni Paese che ha delle istituzioni e un governo estremamente debole. La Libia si profila come – secondo gli esperti  - “failing state” o “Stato fallito”: questi tipi di Stati, come è stata anche la Somalia, in parte la Siria oggi o l’Afghanistan a partire dagli anni Novanta, sono Stati che non hanno controllo del territorio sufficiente da poter controllare tutti i fenomeni di radicalizzazione, le attività dei gruppi terroristici. Quindi sono gli Stati in cui i gruppi terroristici si muovono meglio, perché ci sono pochi controlli, ci sono vaste aree nel territori fuori dal controllo governativo e dalle forze dell’ordine. Quindi tanto più sono deboli le istituzioni governative, tanto più è facile per i gruppi terroristici operare; tanto più la Libia diventerà uno “Stato fallito”, tanto più potrà potenzialmente diventare una centrale operativa per il terrorismo. 








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