2016-09-28 08:14:00

Israele. La morte di Shimon Peres, ex Presidente e Nobel per la Pace


Si è spento nella notte l’ultimo dei padri fondatori di Israele, Shimon Peres, 93 anni, dopo due settimane di ricovero in seguito ad un ictus. Passato alla storia per essere stato uno dei fautori degli accordi di Oslo nel 1993, ha ricevuto il premio Nobel per la Pace. I funerali si terranno venerdì a Gerusalemme. Peres sarà sepolto tra i Grandi della Nazione nel cimitero del Monte Herzl a Gerusalemme. Il servizio di Debora Donnini:

L’uomo della pace, protagonista in politica dalla nascita di Israele nel 1948, ministro, premier e infine presidente, esponente del Partito laburista. Peres passò da falco a colomba a partire dal 1977. Nato in Polonia ed emigrato da ragazzo in Palestina, entrò in politica dopo aver conosciuto per caso Ben Gurion facendo l’autostop. Spirito indomito, nonostante le diverse sconfitte elettorali si rialzava ogni volta. Centrale il suo impegno negli accordi di Oslo e il conseguente premio Nobel per la Pace del 1994, ricevuto assieme a Rabin e Arafat.

Lui, che in precedenza aveva rifiutato qualsiasi compromesso con i Paesi arabi ostili ad Israele e autorizzato le prime colonie ebraiche nella Cisgiordania occupata, aveva poi compreso che l’obiettivo doveva essere chiaro: due Stati, Israele e Palestina, che convivono in amicizia e cooperazione. Terminato il mandato presidenziale nel 2014, era proseguito il suo impegno per il dialogo con la sua fondazione. Forti i contrasti con Netanyahu, negli anni crebbe sempre più la sua fama di uomo della riconciliazione.

Indimenticabile l’incontro di preghiera per la pace in Vaticano con Papa Francesco, a cui partecipò nel 2014 assieme al presidente palestinese Mahmoud Abbas. Queste le parole di Shimon Peres:

“Due popoli – gli israeliani e i palestinesi – desiderano ancora ardentemente la pace. Le lacrime delle madri sui loro figli sono ancora incise nei nostri cuori. Noi dobbiamo mettere fine alle grida, alla violenza, al conflitto. Noi tutti abbiamo bisogno di pace. Pace fra eguali”.

Peres ha incontrato anche Benedetto XVI e San Giovanni Paolo II. La sua morte conquista l’attenzione dell’informazione così come dei leader mondiali che inviano messaggi di cordoglio. Il figlio, Chemi, ricorda il suo messaggio: ''Ci ha ordinato di edificare il futuro di Israele con coraggio e saggezza e di spianare sempre strade per un futuro di pace''. Al mondo aveva insegnato infatti che “non c’è alternativa alla pace”. 

Janiki Cingoli è il direttore del Cipmo, il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente, nel corso degli anni ha incontrato più volte Shimon Peres. Questo è il ricordo che ne fa al microfono di Francesca Sabatinelli, riandando con la memoria al 1986:

R. – Ho incontrato la prima volta Shimon Peres quando ho accompagnato Giorgio Napolitano nel suo primo viaggio in Israele, che io avevo organizzato. L’incontro avvenne in un clima un po’ particolare: pochi giorni prima c’era stato l’attentato terroristico alla stazione dei bus e quindi noi ci aspettavamo di trovare un po’ di tensione. E invece, ci stupì il fatto che in qualche modo lui la considerava come una cosa che rientrava nella normalità: ‘Sì, loro hanno fatto l’attentato, noi abbiamo bombardato di là e quindi questa è la situazione che c’è’. Lui invece concentrò la sua attenzione sull’interesse che Israele aveva a riprendere i rapporti con l’Unione Sovietica, che erano stati congelati dopo la guerra del 1967. Napolitano, a quell’epoca, era responsabile internazionale del Partito comunista italiano. Tornato in Italia, poco dopo ebbe una missione a Mosca, pose la questione ai dirigenti di allora e, poco dopo, l’Unione Sovietica aprì i canali diplomatici con Israele.

D. – Di Shimon Peres, oggi, si leggono tanti titoli: “lo stratega”, “il pragmatico”, e se ne sottolinea, giustamente,  il particolare rapporto con Yitzhak Rabin. Chi era Shimon Peres? Come uomo politico, come presidente, come colui che, in seguito, è stato vissuto come l’anziano padre di ogni israeliano?

R. – Lui era un uomo di visione, aveva la visione dell’“Isfalur” (da Israel, Falestin e Urdùn) cioè Israele, Palestina e Giordania, un po’ come Benelux, nel Medio Oriente, un’area più vasta, tipo Unione Europea, anche elaborando progetti complessi, come quello del canale che unisce il Mar Morto al Mar Rosso, che dovrebbe unire, che è un’opera su cui lui ha centrato molto della sua attività e immaginazione, partendo dal ‘Centro Peres per la Pace’ che lui aveva fondato a Jaffa, il quartiere arabo di Tel Aviv. Lui è l’uomo dell’immaginario che rappresenta questa aspirazione complessiva del popolo israeliano per la pace. Direi che la sua popolarità dentro Israele, quando lui era in competizione elettorale, non è stata pari alla sua fama e alla sua levatura. Lui ha perso tutte le elezioni. Tra Rabin e Peres, Rabin era l’uomo che era in contatto con il popolo, Peres era quello che parlava, volava alto, ma forse il suo rapporto con la popolazione era meno forte. Lui non era semplicemente l’uomo che faceva i discorsi di pace, è l’uomo che ha fatto avanzare il progetto della bomba atomica, il fatto che Israele si munisse di armamento atomico. Quindi, lui era un uomo di pace, ma voleva che Israele avesse tutti i mezzi per difendersi. Da quando è stato eletto presidente, ovviamente, ha svolto una funzione importante: mantenere aperti i canali diplomatici anche quando il governo di Netanyahu li teneva chiusi. E’ stato quindi un simbolo di continuità e di apertura, però Israele oggi sta andando in una direzione diversa e in cui il conflitto israelo-palestinese ha iniziato a diventare più marginale nell’attenzione delle opinioni pubbliche internazionali e dei governi e questo ovviamente lascia aperto un problema che oramai la comunità internazionale tende più a maneggiare che risolvere.

D. – In relazione alla questione palestinese, per molte persone è stato difficile negli anni accostare la parola “pace” proprio a Peres …

R. – Lui è stato l’uomo che, insieme a Rabin, ha gestito i colloqui di Oslo, che hanno condotto all’Accordo di Washington. Il Nobel per la  Pace è stato dato a Rabin e a lui non casualmente. Direi che lui era quello che elaborava e che portava avanti l’idea di pace, ma quello che avrebbe potuto realizzarla sul terreno era Rabin e non per caso l’hanno ucciso. Era un binomio anche pieno di rivalità, tuttavia era un binomio che funzionava finché i due c’erano. Quando la parte forte nel rapporto con il popolo, e anche con l’esercito, è venuta a mancare, l’altro è rimasto un po’ disancorato.

D. – Tra le ultime immagini di Peres, ricordiamo quelle che lo ritraggono nei giardini vaticani, con Papa Francesco e Abu Mazen, mentre viene piantato un albero di ulivo …

R. – E’ stato un atto estremo e credo che sia stato un miracolo quello che ha compiuto Papa Francesco. Perché Abu Mazen si rifiutava di incontrare qualsiasi dirigente israeliano, anche se i suoi rapporti con Peres storicamente sono stati sempre forti. Il fatto di averli lì riuniti, testimonia questa tensione verso la pace. Direi che è stato un ultimo contributo a mantenere viva questa aspirazione verso due Stati che vivano affianco uno all’altro. Tuttavia, è un’aspirazione che forse il governo israeliano e, per certi versi, anche l’Autorità Palestinese – con l’ondata di violenza che si è sviluppata negli ultimi mesi – non hanno raccolto a sufficienza.








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