2016-09-29 18:47:00

Aleppo, strage di bambini. Il vescovo: morte diventata cosa banale


Ad Aleppo si sta vivendo la più grave catastrofe umanitario che la Siria abbia mai visto. La denuncia è delle Nazioni Unite, del vice segretario e responsabile degli aiuti umanitari, Stephen O’Brien per il quale si sta assistendo “ad un abisso inumano”. Francesca Sabatinelli:

Il sistema sanitario nella parte assediata di Aleppo è ormai sul punto di crollare totalmente, i bambini sono i più vulnerabili. Stephen O’Brien non misura le parole, la situazione non lo permette, perché è in atto un genocidio di bambini, come denunciato da Unicef Italia, perché se fino al 2013 erano 11mila i piccoli morti, oggi, a sei anni dall’inizio della guerra, i numeri non si contano più, ammette l'organizzazione. Da venerdì,  da meno di una settimana, sono 96 i minori rimasti uccisi nella parte orientale della città ormai al collasso dal punto di vista sanitario, con 30 medici a disposizione, nulla o quasi attrezzature e medicine d’emergenza. LE forze governative oggi hanno segnato un punto contro le opposizioni armate, strappando il controllo di un quartiere periferico a nord-est, un ex campo profughi palestinese, da tempo roccaforte dei ribelli, annientati da giorni di fuoco congiunto delle truppe di Assad e dei raid russi che sostengono il presidente siriano. I nostri jet resteranno al fianco di Damasco nella lotta contro i terroristi, ha avvertito oggi Mosca che ha anche posto il veto a un cessate il fuoco di sette giorni, mentre si è detta disponibile ad una tregua umanitaria di 48 ore. E mentre il Cremlino si scaglia contro Washington definendo dichiarazioni emotive le minacce della Casa bianca di interrompere i contatti con Mosca sulla Siria, se non si fermeranno i bombardamenti su Aleppo, in un comunicato congiunto la cancelliera tedesca Merkel e il presidente turco Erdogan chiedono alla Russia di porre un freno ad Assad. Nel frattempo il dossier siriano oggi pomeriggio è tornato sul tavolo del Consiglio di sicurezza dell’Onu che discuterà della bozza di  cessate il fuoco elaborata dalla Francia.

Ieri, nella sede di Caritas Internationalis a Roma, si è svolto un incontro tra i rappresentanti delle Caritas che operano in Siria, Iraq e nell'area a sostegno della popolazione colpita dalla guerra. In questi anni di guerra la Caritas ha messo in campo la sua operazione umanitaria più vasta, fornendo cibo, medicine, istruzione, rifugi, sostegno psicologico, sia in Siria che in Iraq che nei Paesi che accolgono rifugiati. Il servizio di Elvira Ragosta:

Fare in modo che le parti in conflitto giungano a una soluzione pacifica, supportare i milioni di persone colpite dalla guerra e dare dignità e speranza ai siriani dentro e fuori il Paese. Questi gli obiettivi di Caritas Internationalis, da raggiungere sollecitando i suoi supporter nel mondo affinché facciano pressione sui propri governi. Dallo scoppio del conflitto a oggi sono oltre 230mila i morti tra i civili, 4,8 i milioni di rifugiati all’estero e 8,7 milioni i rifugiati interni. Tra le poche agenzie internazionali ancora operanti in Siria, Caritas Internationalis coopera con le comunità religiose del Paese e con organizzazioni umanitarie sia sciite che sunnite, per portare aiuti e soccorsi al maggior numero dei civili in difficoltà, fornendo cibo, assistenza medica, protezione e beni di prima necessità. Sulla difficile situazione umanitaria che sta vivendo in particolare la città siriana di Aleppo, mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo e presidente di Caritas Siria:

R. - I bambini, le donne, le famiglie… È veramente diventata una cosa normale per la gente che vive lì. La morte è divenuta una cosa banale, e questa è la cosa più grave per me. L’uomo non ha più valore, soltanto il potere e la violenza tra i diversi gruppi: questo è il problema. 

D. – Difficoltà a reperire e a trasferire gli aiuti, difficoltà in campo medico, difficoltà per i bambini e anche per il resto della popolazione nell’attingere ad acqua potabile…

R. – Sì, dappertutto: è vero per la regione ad est di Aleppo, ma è vero anche per l’ovest, dove ci sono due milioni di persone senza elettricità, senza acqua, dove tutto è caro e si vive nel pericolo ogni giorno. Generalmente i media non parlano di questa regione ovest.

L’incubo della guerra non riguarda solo Siria. Anche in Iraq la violenza del sedicente Stato islamico ha innescato un conflitto zeppo di attentati, violenze e devastazioni. Secondo Caritas sono 10 milioni gli iracheni bisognosi di aiuto e 3,4 milioni i rifugiati interni. Mons. Shlemon Warduni, ausiliare di Baghdad dei caldei e Presidente di Caritas Iraq:

“La situazione umanitaria è molto difficile perché manca l’essenziale, che è la pace e la sicurezza. Quindi, anche se c’è un po’ da mangiare e se ci sono i beni materiali, questo non vuole dire niente perché non c’è la pace”.

D. – Come è organizzato il sostegno di Caritas?

R. – Abbiamo subito, sin dall’inizio, cercato di organizzare il nostro lavoro. Quindi appena vedevo una grande difficoltà in un posto, dicevo al direttore di fare un progetto e di scrivere ai donatori. E loro – veramente – rispondevano subito, presto. Per questo ringraziamo Dio e tutti i donatori.

D. – Su Mosul, seconda città più importante dell’Iraq e nominata capitale del sedicente Stato islamico, si concentrano gli sforzi dell’esercito iracheno per strapparla appunto dal controllo jihadista: liberare Mosul cosa significherebbe per il futuro del Paese?

R. – Liberare Mosul significa grandi cose, perché Mosul è la prima città che è stata occupata e non sappiamo perché: tutti si meravigliavano del fatto che Mosul fosse caduta in due, tre ore… Per cui, se viene liberata, è una grande e bella cosa per tutti quanti.

D. – Nel dramma del conflitto anche il dramma dei cristiani iracheni: in 120mila costretti a lasciare Mosul e la Piana di Ninive per cercare rifugio nel Kurdistan iracheno. Circa 300mila quelli rimasti nel Paese: quali sono le difficoltà per i cristiani d’Iraq?

R. – Le difficoltà per i cristiani d’Iraq, come dicevo, riguardano la pace: non c’è la pace, non c’è la tranquillità. Quindi tanti giovani non hanno più fiducia nel futuro. Tanti cristiani non sanno cosa fare, specialmente quando ci sono le difficoltà contro la fede, contro il cristianesimo. E quindi in quel tempo, in quel momento, tutto sparisce: tutto si vede oscuro. Quindi chiediamo a Dio di darci la pace e la sicurezza. 

Oltre un milione e mezzo di siriani ha trovato riparo in Libano, uno dei Paesi più generosi nell’accogliere. Se ai rifugiati siriani si aggiunge il mezzo milione di rifugiati palestinesi presenti in Libano, il risultato è che il Paese dei cedri ospita una quantità di rifugiati pari alla metà della popolazione libanese. I recenti dati forniti dalle Nazioni Unite indicano che il 70% dei rifugiati siriani in Libano vive sotto la soglia di povertà e può contare solo sugli aiuti umanitari. Padre Paul Karam, presidente di Caritas Libano:

R. – Purtroppo la situazione è molto, molto grave e questo dà pena al nostro cuore, quando vediamo che la guerra sta prendendo più spazio della pace. E penso che questa sia una responsabilità di tutta la comunità internazionale: dobbiamo lavorare giorno e notte per la pace.

D. – Come vivono i rifugiati siriani in Libano e quali sono le loro necessità?

R. – La prima necessità è il cibo; le medicine – la cura medica –; avere un tetto e uno spazio dove poter vivere. Poi c’è un altro aspetto che è molto, molto importante, soprattutto a livello dei fanciulli, dei bambini: l’educazione nelle scuole. Per questo cerchiamo sempre di collaborare con l’Unicef, perché la Caritas ora assicura il trasporto dei bambini nelle scuole.

D. – Come sono organizzati i rifugiati in Libano?

R. – In Libano non abbiamo campi: non è come in Giordania o in Turchia. I profughi siriani sono sparsi in tutto il Paese: in montagna, nel litorale, in un garage… dappertutto.

Anche la Giordania ha aperto le porte ai rifugiati siriani. 1,4 milioni quelli ospitati nel piccolo Paese mediorientale, cui si aggiungono anche 130mila rifugiati iracheni. Sono poi 3 milioni i siriani che hanno trovato riparo dalla guerra in Turchia. Rinaldo Marmara, direttore di Caritas Turchia:

R. – Già il fatto di lasciare il proprio Paese è un trauma: arrivano in un Paese di cui non conoscono la lingua, senza lavoro… Hanno bisogno di tutto. Noi come Caritas li aiutiamo con dei coupon alimentari, medicinali, aiuti psicologici per le persone che hanno bisogno. E poi non dimentichiamo anche i bambini. A Istanbul aiutiamo quattro scuole e vicino alla frontiera un’altra scuola. Abbiamo poi campi da gioco. Nel 2015 abbiamo aiutato quasi 40mila persone. Certo, quando si compara questa cifra con quella totale di tre milioni di persone, forse è poco, ma – come dico io – “goccia a goccia si fa il mare”: noi aiutiamo persona per persona senza fare distinzione di religione.








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