2016-09-30 10:21:00

La Georgia: il Paese che da oggi visita il Papa


Ma che Paese è oggi la Georgia, ex repubblica sovietica indipendente dal “91? E soprattutto, come le autorità guardano all’arrivo di un secondo Pontefice dopo S. Giovanni Paolo II nel 1999? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Marilisa Lorusso ricercatrice esperta dell’area per l’Osservatorio Balcani e Caucaso:

R. – Sicuramente è un Paese che è cresciuto: ha vissuto un periodo iniziale estremamente turbolento, con due guerre di secessione, una guerra civile, grandi lacune di capacità di sovranità e un tracollo economico completo, dovuto, come molti altri Paesi post-sovietici, alla crisi della struttura economica dell’Urss. Rispetto a tassi di crescita che avevano superato l’8% annuo, adesso siamo sul 3% rispetto al Pil. Quindi è un Paese che, con grande fatica, sta cercando di riproporsi come agente economico, di sfruttare la propria posizione sia dal punto di vista del turismo sia da quello della differenziazione della produzione, sia industriale che agricola, in un contesto che non è facilissimo. Ci sono infatti tensioni tra i Paesi vicini che generano delle difficoltà di trasporto e di comunicazione; tra l’altro tutta la Regione del Mar Nero è un po’ in sofferenza, e dalla crisi in Ucraina ancora di più. E quindi, tra mille difficoltà, la Georgia sta comunque stabilizzando il proprio quadro economico e politico.

D. – Il Papa arriverà a pochi giorni dalle elezioni: cosa il Paese, e il popolo anche, si aspettano da questo voto? Cosa chiede la gente?

R. – Quello che ci si aspetta a livello di sondaggi è che il governo in carica venga bene o male confermato. C’è un effettivo dibattito politico: non abbiamo più lo strapotere di un partito, quindi sono elezioni effettivamente discusse e dibattute. Per quello che riguarda invece le reali tematiche che stanno a cuore alla popolazione, il primo posto in assoluto è occupato dall’occupazione. È da vedere se questa stabilizzazione politica continuerà, e questo potrebbe incoraggiare gli investitori stranieri ad essere più presenti. È molto probabile quindi che non ci siano grandi cambiamenti di strategie economiche; così come è difficile che queste elezioni portino cambiamenti dal punto di vista dell’orientamento, non solo nella politica interna, ma anche in quella estera. La Georgia sembra abbastanza saldamente ancorata a un percorso euro-atlantista. Il riconoscimento da parte della Russia delle sue due regioni secessioniste dopo il 2008 – l’Abkhazia e l’Ossezia – di fatto ha creato una frattura molto profonda nei confronti della Russia che non è ancora stata normalizzata dal punto di vista diplomatico, e ha consegnato un po’ la Georgia a quell’orientamento filo-occidentale, nelle corde del Paese fin dalla prima indipendenza.

D. – La Georgia è ancora un Paese che vive essenzialmente di agricoltura o no?

R. – Assolutamente no. Il terziario è in crescita: si stanno creando dei poli di produzione abbastanza all’avanguardia. Relativamente invece al discorso degli idrocarburi che sono presenti nella Regione ma non nel suo territorio, la Georgia è un Paese di transito, cosa che potrebbe garantirle una certa rilevanza anche strategica.

D. – Come i politici georgiani guardano a questa visita del Papa? Ricordiamo che quando andò San Giovanni Paolo II c’era il suo amico Shevardnadze: dunque la situazione era diversa…

R. – Sicuramente la visita del Papa è una riconferma dell’identità europea per la Georgia. Poi ci sono piani che riguardano la politica interna georgiana: accogliere il rappresentante di un’altra religione cristiana nel proprio territorio è anche, in un certo senso, un atto di superamento di forme di nazionalismo che tendono poi alla fine a minare la coesione sociale. Questo riguarda non solo le minoranze cristiane, ma anche quelle musulmane che, rispetto a questo far coincidere la georgianità con la chiesa ortodossa, sono forse più esposte a processi di radicalizzazione. C’è poi un discorso anche di rapporti bilaterali: questa sarà tra l’altro la prima visita del Papa dopo che la Georgia ha riconosciuto la presenza di altre Chiese nel proprio territorio non come associazioni ma proprio come “Chiese”; quindi sicuramente anche questo è un dato importante. E in generale – a livello internazionale – la visita in un Paese che ha una così forte coincidenza tra la Chiesa nazionale e lo Stato di un leader straniero è di nuovo un voler ribadire un percorso di pace e di dialogo interreligioso, che è nel Caucaso più che mai necessario, in un momento in cui l’intera area è scossa dall’onda lunga del conflitto siriano, in un momento che rimane delicato e che, molto probabilmente, sarà anche di lunga durata.








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