2016-09-30 14:13:00

Ungheria: referendum sui profughi. Scontato 'No' a quote Ue


Domenica prossima 8,3 milioni di ungheresi sono chiamati ad esprimersi attraverso un referendum popolare sul piano relativo alle quote di profughi da ridistribuire in tutti Paesi membri dell’Ue. Scontata la vittoria della posizione del governo magiaro che ha indetto la consultazione per legittimare il suo rifiuto alle ripartizioni. Il premier ungherese Viktor Orban, che ha chiuso tutti i confini a seguito della crisi migratoria, punta ad un plebiscito che rafforzi la sua leadership. Riflettori puntati da parte di tutte le cancellerie europee che temono un nuovo strappo che alimenti sentimenti euroscettici. Marco Guerra ne ha parlato con Matteo Villa, analista dell’Ispi esperto di Europa:

R. - Viktor Orbán, il premier ungherese, ha già vinto, perché - se ci pensate – il ricollocamento, quello che doveva essere il piano dell’anno scorso dell’Unione Europea, la ridistribuzione di tante persone, richiedenti asilo, dall’Italia e la Grecia, è quasi fallito. Si parlava di 160 mila persone l’anno scorso e ne abbiamo ricollocate ad oggi poco più di 5.000. Orbán, comunque, nel suo Paese è stato uno dei primi ad opporsi alle quote di ricollocamento e nel suo Paese. Insomma, in tutta Europa marciano le destre populiste e anche le sinistre populiste e in Ungheria non è diverso.

D. – Si parla di profughi, ma in realtà il referendum ungherese si configura come l’ennesimo schiaffo contro le politiche comunitarie. Dopo la Brexit dobbiamo aspettarci una nuova ondata euroscettica?

R. – Sì, è possibile. Pensate che dopo questo referendum, comunque, l’Europa guarda anche alle elezioni presidenziali in Austria, rimandate diverse volte e da rifare,  ammesso che tutto funzioni, il 4 dicembre si tornerà infatti al voto. Poi, subito dopo, magari a fine dicembre, si rivoterà in Spagna e poi nel 2017 si andrà alle urne in Olanda, in Francia e in Germania. Tutti Paesi, quindi, in cui le destre, o comunque i partiti anti establishment, stanno avanzando. Il Fronte Nazionale in Francia sembra, quasi sicuramente, poter arrivare al ballottaggio. L’Alternative für Deutschland in Germania sembra essere al 15% dei consensi - mai successo. Quindi, insomma, in tutta Europa si ha paura che questi movimenti populisti adesso, avanzando, magari non siano alternative di governo ma impediscano ai governi di governare.

D. – E dettino anche l’agenda…

R. – Assolutamente sì, anche in Europa.

D. - Viktor Orbán – scontata la vittoria – punta ad un plebiscito e ad una grande affluenza. Questo voto confermerà la leadership del premier magiaro e il suo asse con il gruppo Visegrád: Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia?  

R. – Sì, direi che all’interno dell’Ungheria non ci siano dubbi: Orbán al momento è leader incontrastato, nonostante la popolazione – pensate – non sia del tutto d’accordo con le politiche di Orbán. Se guardate i sondaggi Eurostat, praticamente più del 60% delle persone pensa che sia giusto stare in Europa. Ma la popolazione è d’accordo con il fatto che l’Europa cui pensa Orban non sia la stessa cui pensano in altri Paesi: quindi un’Europa che deve essere chiusa, attenta alle proprie frontiere e meno solidale. Quindi, insomma, sì, all’interno dell’Ungheria Orban si consolida e probabilmente anche all’interno dell’intero gruppo di Visegrád – Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria - si tende ad andare verso politiche antimigranti. Ma ricordiamoci che Orbán ha a che fare all’interno del Paese con l’ascesa di un altro partito, un partito di destra estrema, che si chiama Jobbik, il partito per un’Ungheria migliore. E’ chiaro, quindi, che anche all’interno dell’Ungheria il governo debba pensare a politiche di contenimento dei flussi migratori, perché dall’altra parte, altrimenti, si ritroverebbe a vedere eroso il proprio consenso e magari a favore di una destra effettivamente xenofoba, che non è mai arrivata al governo del Paese. Guardiamo anche a quello che è successo in Ungheria negli ultimi anni: gli arrivi degli ultimi tempi sono stati effettivamente fenomenali per un Paese che non ha mai avuto punte di immigrazione interna, ma soltanto fenomeni di emigrazione esterna. E’ chiaro che un Paese così si ritrovi al momento a gestire qualcosa di straordinario e non possa che cercare di reagire con gli strumenti che ha a disposizione.

D. – Abbiamo visto che l’Ungheria è stato il primo Paese della rotta balcanica a sigillare i suoi confini. Chiudere le porte anche al ricollocamento di coloro che sono stati riconosciuti come rifugiati, quali ripercussioni avrà nelle politiche di accoglienza europee?

R. – Questo potrebbe essere un problema, perché ormai Schengen è chiuso un po’ dappertutto e la libera circolazione in Europa è ormai limitata. Persino in Germania vengono controllate le frontiere, e quindi in Italia saremo costretti quest’anno a far fronte ad un flusso, che praticamente rimarrà uguale a quello dell’anno scorso e di due anni fa, ma non potremo lasciar andare i richiedenti asilo verso le mete che vorrebbero raggiungere. Chiaramente, quindi, la gestione dell’emergenza viene confinata in alcuni Paesi: in Italia, ma anche in Grecia. Pensate a 60 mila persone bloccate in Grecia, che vorrebbero andare altrove, e poche, ma comunque qualche migliaio al mese, che continuano ad arrivare. Quindi se la gestione viene delegata soltanto a due Paesi è chiaro che l’Europa rischia di scoppiare e questi Paesi non riusciranno a gestire ed integrare in maniera corretta i migranti che arrivano.








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