2016-10-01 09:08:00

3 mesi dalla strage a Dhaka: don Luca Monti ricorda la sorella Simona


Sono passati tre mesi da quel 1° luglio quando, nel ristorante di Dhaka, in Balgladesh, sono state uccise 22 persone, tra cui sette giapponesi e nove italiani, cinque donne e quattro uomini, per mano di giovani terroristi dell’Isis. Un massacro presto dimenticato dai mezzi di comunicazione. E’ giusto richiamare i loro nomi: Nadia Benedetti di Viterbo, Maria Riboli di Bergamo, Adele Puglisi di Catania, Claudia D’Antona di Torino, Marco Tondat e Cristian Rossi del Friuli, Claudio Cappelli della Brianza, Vincenzo D’Allestro di Caserta, Simona Monti di Rieti. Aggiungiamo Michelangelo, l’angioletto da cinque mesi nascosto nel grembo di mamma Simona. Al telefono, Marcello Storgato ha raggiunto don Luca Monti, fratello di Simona, parroco di Santa Lucia di Serino, in diocesi di Avellino:

R. – E’ un ricordo molto fresco: nella psicologia umana ci sono dei processi in cui uno matura il dolore e il ricordo è incancellabile, pieno di affetto e anche di gratitudine perché nel tempo, e veramente con la luce della fede, uno riesce a comprendere sempre meglio e in profondità la sua esistenza che è stata prima di tutto un dono nella sua vita e anche nella sua esperienza di martirio. Il ricordo più affettuoso che lascia è la sua profonda libertà di animo e il suo coraggio, che per noi resta veramente una grande testimonianza di esemplarità e di coraggio.

D. – Ricordo la grande forza d’animo di papà Luciano e di mamma Mimì durante il funerale di Simona. Papà ha detto: “Il Signore ha voluto da noi un figlio sacerdote e una figlia martire”. Come stanno, i genitori?

R. – Ho la grazia di avere due genitori molto forti. Il lutto, il dolore, la sofferenza viene gestita e maturata tra l’umanità con le sue fragilità e con una grande forza d’animo. Comunque hanno una loro vita di preghiera molto lodevole, ma tengono ancora molto accesa la sofferenza e il ricordo di quei tragici momenti. In ogni caso, li vedo come una coppia di genitori non disperati, e questo credo che sia veramente un’enorme grazia del Signore.

D. – Non è facile offrire il perdono agli assassini che non si conoscono …

R. – L’offerta del perdono è una scelta di riconciliazione con la storia; perdono come scelta di riconciliazione e di accettazione di questa storia, non come noi possiamo intendere nei confronti di chi ha voluto compiere un’azione del genere.

D. – Alla santa Messa di commiato a Magliano Sabina, il duomo, la piazza, le strade adiacenti erano piene di gente, e c’erano moltissimi giovani. Simona era conosciuta?

R. – Simona era conosciuta, anche se la maggior parte del suo tempo lei lo passava in giro per il mondo. Immaginate che in un piccolo centro come Magliano Sabina questa tragedia ha avuto veramente un impatto emotivo grandissimo, di Magliano ma anche di tutta la zona della provincia di Rieti.

D. – Vi tenete in contatto con i famigliari delle altre vittime del 1° luglio?

R. – L’altra mia sorella è sempre in contatto con tutti gli altri.

D. – Avete voluto offrire una chiesa al villaggio di Harintana, nella diocesi di Khulna: com’è nata l’iniziativa?

R. – E’ nata dalla scelta di voler evitare l’omaggio floreale. Avendo noi vissuto la morte di Simona come un martirio, abbiamo pensato che la cosa più bella da poter fare sarebbe stata quella di offrire un aiuto concreto alla Chiesa che soffre in Bangladesh, dove i cristiani sono una piccola minoranza. Non per forza in ricordo di Simona, ma proprio per incentivare la loro fede.

D. – Un giovane musulmano del Bangladesh, Tarik Shujat, ha voluto scrivere una commovente poesia in ricordo di Michelangelo, il bambino atteso nel grembo di Simona: “… Mamma, tu sei stata la mia culla e la mia bara …”.

R. – Quella è stata una sorpresa, e veramente è ancora molto forte l’emozione pensando alle parole che sono state scritte da questo giovane. Credo che sia anche una bella testimonianza della comunità musulmana, anche se è solamente un'esperienza: credo che sia stata proprio l’unica in cui un musulmano si sia espresso …








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