2016-10-01 10:11:00

Bangladesh: dopo il massacro di Dhaka la paura della gente


Tre mesi fa, il 1° luglio 2016, a Holey Artisan Bakery, nell’enclave diplomatica a Dhaka, in Bangladesh, sono state uccise 22 persone, tra cui nove italiani. Nel blitz sono morti due poliziotti bengalesi e cinque terroristi (giovani tra i 18 e i 28 anni). In agosto, la polizia ha individuato e ucciso il presunto organizzatore dell’attacco, Tamìm Ahmed Chowdhùry, un bengalese nato e cresciuto in Canada che era stato espulso nel 2013 come tipo sospetto. Tornato in Bangladesh, Tamìm non aveva ripreso i rapporti con la famiglia e gli amici. Sulla nuova situazione che si è venuta a creare in Bangladesh dopo questo efferato attacco terroristico, Marcello Storgato ha intervistato un missionario che vive nel Paese da oltre 25 anni, e che chiede di mantenere l’anonimato per motivi di sicurezza:

R. – L’evento del 1° luglio ha tragicamente dimostrato la presenza dell’Isis anche in Bangladesh, ripetutamente negata dal governo. Certamente i terroristi erano stati bene ammaestrati. Hanno agito con determinazione pianificata. La brutalità sulle donne italiane ha richiamato alla mente il massacro delle donne che l’Isis ha compiuto nei territori da loro occupati. Subito dopo l’assalto, l’Isis ha pubblicato su internet le foto dei giovani terroristi sorridenti… Sconcertante!

D. – Gli attentati in Bangladesh sono diretti contro gli stranieri in generale?

R. – No: anche qui c’è stata una rapida evoluzione. Ha creato panico tra la popolazione il tentativo fallito di uccidere il famoso imam maulana Farid Uddin Masoud, che nel giugno scorso aveva pubblicato dieci “fatwa” contro il terrorismo, un documento sottoscritto da ben 108mila imam e maulana bangladeshi; tra cui anche alcune donne maulana.

D. – Cos’è successo all’imam?

R. – Il 7 luglio, l’imam avrebbe dovuto guidare la grande preghiera a Shokàlia, a nord di Dhaka, alla quale hanno partecipato oltre 200mila devoti. Sul percorso verso il luogo del grande raduno, la polizia aveva creato dei posti di blocco. Un terrorista è stato scoperto; c’è stato un conflitto a fuoco in cui sono morti due poliziotti, una donna e il terrorista, che aveva osato attraversare il metal detector. Sembra che i terroristi fossero cinque. La preghiera poi è stata guidata da un altro imam, in tono minore.

D. – Come ha reagito la popolazione bengalese?

R. – Con questo episodio, che avrebbe avuto conseguenze disastrose, i bengalesi musulmani si sono resi conto che le azioni terroristiche non erano più soltanto contro hindu e cristiani ma anche contro loro stessi. C’è paura e insicurezza tra la popolazione. Anche per questo, gli incontri pubblici sono molto diminuiti. Inoltre, è obbligatorio avvisare la polizia e chiedere esplicito permesso per ogni incontro pubblico.

D. – E com’è la situazione attuale degli stranieri in Bangladesh?

R. – In seguito al massacro degli stranieri nel ristorante, molti imprenditori esteri hanno lasciato il Bangladesh: circa 300, in maggior parte impegnati nel settore tessile. Per coloro che devono restare per motivi di lavoro, sono aumentate le misure di sicurezza, sia nel posto di lavoro sia nelle loro abitazioni. L’ambasciata giapponese aveva chiesto al governo del Bangladesh di poter inviare poliziotti armati per proteggere i propri cittadini. La richiesta è stata disattesa. Ma giapponesi e sudcoreani che lavorano ai progetti di ponti e strade, per esempio nella regione di Khulna, nel sudovest del Paese, sono stati tutti alloggiati nello stesso palazzo, con la protezione della polizia armata bengalese, 24 ore su 24.

D. – Praticamente, non è consigliabile agli stranieri recarsi in Bangladesh?

R. – Attualmente agli stranieri è vietato recarsi a Chittagong Hill Tracts, la regione meridionale e turistica del Bangladesh, confinante con il Myanmar (Birmania), a maggioranza tribale. La ragione ufficiale è “per motivi di sicurezza”. C’è da menzionare, tuttavia, che in questa regione è ancora in atto una “occupazione” dei territori tribali, che a volte sfocia in conflitti e repressioni. I medici e gli infermieri italiani che volontariamente, da oltre 25 anni, ogni anno si recano in Bangladesh per operazioni maxillo-facciali, ortopediche, per malformazioni genetiche, urologi e ginecologi, quest’anno hanno dovuto cancellare il loro programma, con rammarico dei tanti malati, soprattutto bambini e donne, che si erano già prenotati per le cure e le terapie.

D. – In questa situazione, come vi comportate voi missionari?

R. – La situazione sta diventando sempre più pesante anche per i missionari, che non possono più muoversi liberamente. In alcune zone del Bangladesh devono comunicare alla polizia giorno, ora e destinazione di ogni loro spostamento e vengono scortati dalla polizia armata. Queste limitazioni rendono la vita del missionario difficile e intricata, e comunque più controllata. Anche i nostri incontri per il dialogo interreligioso con studenti musulmani, hindu e cristiani, sono praticamente sospesi. L’unico modo per tenere qualche collegamento è internet; dobbiamo quindi potenziare e migliorare il sito web per il dialogo.

D. – Cosa sta facendo il governo per arginare i terroristi?

R. – Oltre all’azione di arresto e ricerca dei terroristi, il governo ha organizzato incontri con la popolazione, per conoscere il numero delle persone – uomini e donne – che hanno lasciato le proprie famiglie senza dare più notizie di sé. La polizia ha creato una lista apposita di queste persone. Le famiglie sono state invitate a riallacciare i contatti, per quanto possibile. Ai neo-arruolati terroristi, infatti, viene chiesto di tagliare completamente i rapporti con le loro famiglie e gli amici. I genitori, i cui figli e figlie sono andati via da casa, hanno dovuto informare per iscritto la polizia. Anche le università devono segnalare alla polizia i nomi degli studenti che non partecipano regolarmente alle lezioni. Il primo ministro Sheik Hasina, sta insistendo perché i genitori seguano i propri figli anche nella scuola e nelle loro frequentazioni.








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