2016-10-02 10:00:00

Colombia, referendum per la pace. Forti i dubbi sul risultato


Colombia al voto questa domenica per un referendum che dovrà confermare gli accordi di pace tra governo e guerriglieri delle Farc firmati il 26 settembre scorso con  la mediazione del presidente cubano Raul Castro. Milioni di colombiani con il loro sì o il loro no decideranno se nel Paese le armi dovranno tacere definitivamente. La Colombia ha attraversato un conflitto lungo mezzo secolo, con oltre 220mila morti, 45mila desaparecidos e milioni di sfollati, la voglia di pace è immensa, eppure la vittoria del ‘sì ‘non è così scontata, come spiega, al microfono di Francesca Sabatinelli, Jairo Agudelo Taborda, docente di Relazioni Internazionale all’Università do Norte a Barranquilla, nella Regione dei Caraibi della Colombia:

R. – Purtroppo, non è così scontato. Stando alle proiezioni di voto, benché ci sia un decisivo orientamento verso il “sì”, tuttavia c’è sempre il rischio di uno scivolone perché c’è un margine di un “sì” al 50%, un “no” tra il 35 e il 40% e un dieci per cento di incerti, ancora. Io spero che ci sia un 60/40: deve trionfare il “sì”, ma non ci dev’essere dubbio sulla volontà del “sì” dei colombiani. Qualsiasi risultato con uno strettissimo margine, comporterebbe una pericolosa polarizzazione della società. Ci dev’essere un “sì” netto.

D. – Perché, professore, questo “no”? Quali sono i motivi?

R. – Vanno cercati a monte. Questa società è stata abituata a fare politica prevalentemente con la violenza. Cioè, è stata imposta dall’alto, da quando lo Stato nazionale colombiano si è costituito come tale nel 1810. I due partiti che sono nati allora, hanno fatto la politica con le armi. Questa è una delle caratteristiche strutturali dello Stato nazionale colombiano. Non perché i colombiani siano portati geneticamente alla violenza: questo no. E’ che ci è capitata una borghesia tra le più miopi del mondo, che non ha mai consentito le riforme per via pacifica e quindi ha abituato i colombiani all’uso delle armi come strumento preferito per fare politica. Quindi, è quasi imposta l’eliminazione violenta dell’avversario politico e questo inserisce nella mentalità media del colombiano l’idea non della giustizia, ma della vendetta. Quelli del “no” sono una categoria che è stata incrementata e nutrita da un partito politico che ha sempre predicato la vendetta al di sopra della giustizia: il partito dell’ex presidente Uribe che ha fatto del suo periodo di governo una cultura della vendetta. Hanno convinto una parte delle vittime con una storia raccontata con degli slogan, senza argomenti, senza contenuti, senza confronti, che qui si sta concedendo l’impunità agli stragisti della guerriglia, dimenticando che i massacratori non sono stati solo della guerriglia: ci sono stati massacratori della guerriglia, dei paramilitari e anche da parte dello Stato! Quindi, la cosa più sbalorditiva è che, in genere, in tutte le società che hanno vissuto la violenza, le guerre civili, è la popolazione civile che chiede alle forze ribelli e al governo di trattare e negoziare la pace. Qui, invece, è il contrario: i gruppi in ostilità – il governo, l’esercito e le guerriglie – hanno già firmato un accordo di pace ed è una parte della società civile che sta dicendo “no” a questo accordo. Questo è impensabile!

D. – Dopo oltre 50 anni di guerra e oltre 200 mila morti, più di sei milioni di colombiani sfollati, è strano che tutte queste persone preferiscano dire il loro “no” perché credono a pura e semplice propaganda …

R. – C’è un altro dato di fatto. E’ il racconto che, qualora vincesse il “no”, loro sarebbero in grado di costringere le Farc a rinegoziare l’accordo. Questa è una menzogna! Le stesse Farc, ufficialmente, hanno riconfermato che qualora vincesse il “no”, oggi, loro domani tornerebbero nelle montagne ad impugnare le armi contro lo Stato colombiano. Noi, dalle università, abbiamo fatto una campagna di pedagogia smontando questo mito: non è vero che qualora vincesse il “no”, domani si aprirebbe un’altra trattativa, perché non si può fare una trattativa senza l’interlocutore, e l’interlocutore ha già detto di no. Noi siamo convinti che vincerà il “sì” e mi auguro che sia – come dicevo prima – un “sì” netto: sarebbe difficilissimo implementare l’accordo con un 40-45% di colombiani che non lo accettano.








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