2016-10-01 09:00:00

Papa in Azerbaigian: dialogo interreligioso e servizio alla popolazione


Dialogo interreligioso e servizio alla popolazione. E’ questa la realtà che vive ogni giorno la piccola comunità cattolica nell’Azerbaigian, circa 500 fedeli, che il Papa incontrerà domani nella seconda tappa del viaggio nel Caucaso meridionale. Prefetto apostolico in Azerbaigian è il salesiano slovacco mons Vladìmir Fekète, che al microfono di Gabriella Ceraso racconta l’importanza di  incontrare il Papa e l’attesa per il messaggio che vorrà lasciare loro:

R. – Siamo ben consapevoli del fatto che qui siamo una piccola comunità salesiana, e quindi abbiamo sentito una grande gioia quando abbiamo appreso che il Santo Padre aveva preso la decisione di venire in Azerbaigian. Lui vuole soprattutto incoraggiare il piccolo gregge dei cattolici che vive in questo Paese, e questo è tanto per noi! Inoltre, penso che la sua presenza possa aiutare anche tutta la società, che è musulmana, ma abbastanza tollerante, aperta e moderata.

D. – “Siamo tutti fratelli”: il motto della tappa in Azerbaigian. Voi con i musulmani, con i cristiani, con gli ebrei, questa fraternità come la vivete?

R. – In Azerbaigian ci sono tanti valori umani molto belli. Questa è una convivenza che dura già da molti secoli, e non ci sono mai stati problemi: loro sono molto aperti a conoscere la nostra vita, le nostre feste e le nostre abitudini. Le donne musulmane vengono spesso nella nostra Chiesa e dicono che “questo è un luogo sacro è una casa di Dio”. Sono sempre aperti a dialogare, anche e soprattutto i giovani, gli studenti universitari e lo fanno senza difficoltà.

D. – Quale prevede sia il significato profondo di questa presenza del Papa lì da voi?

R. – Speriamo che sia molto grande. Da una parte, è un segno che il Papa è amico di tutti: è un segno di fratellanza e dell’appartenenza ad una grande famiglia umana. E poi pensiamo – o speriamo – che la presenza del Santo Padre possa aprire le porte per la nostra Chiesa, far sviluppare la nostra presenza, così da poter servire meglio il popolo che è curioso di sapere chi siano e cosa facciano i cattolici.

D. – Quali sono le necessità più urgenti della società?

R. – Purtroppo, nell’ultimo anno l’Azerbaigian ha attraversato grandi difficoltà. Il Paese è infatti un grande produttore di gas e petrolio e si trova ora in difficoltà dal momento che le entrate dello Stato sono diminuite. Il valore di acquisto della moneta locale è dimezzato, e a questo si lega il problema della disoccupazione. Le difficoltà si sentono, e noi cerchiamo di rispondere anche alle necessità dei gruppi più bisognosi. C’è un progetto di adozione a distanza, e stiamo cercando soprattutto di aiutare le ragazze madri con i loro bambini che non riescono a sopravvivere. Abbiamo aperto un Centro educativo in una zona popolare frequentato da centinaia di ragazzi provenienti da famiglie povere, che non hanno la possibilità di ricevere l’istruzione primaria perché gli insegnanti non hanno un buon salario e quindi forse non fanno tutto quello che dovrebbero. Se una persona qui vuole fare un esame o entrare all’università deve cercare e pagare degli insegnanti privati; e le famiglie povere non hanno questa possibilità. Poi ci sono le suore di Madre Teresa che gestiscono una casa per le persone in punto di morte e per i senzatetto.

D. – È ottimista per il futuro della Chiesa in Azerbaigian? Che cosa sogna?

R. – Sto pregando affinché la Chiesa continui ad essere presente nella sua maniera pacifica, e affinché anche in futuro sia ben accettata dalla società. Segni di speranza ci sono, e poi, siamo nelle mani di Dio!

D. – C’è qualcosa che personalmente vorrà chiedere al Papa se avrete a modo anche di trascorrere qualche minuto insieme?

R. – Io sono qui, come anche tutta la comunità, per ascoltare quello che il Santo Padre vuole dirci. Ma non abbiamo pensato o preparato nessun discorso. Siamo qui per servire e siamo molto felici che il Santo Padre venga ad incoraggiarci in questo servizio.








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