2016-10-03 12:58:00

Gran Bretagna: Brexit entro marzo. Ispi, ipotesi modello norvegese


La Gran Bretagna attiverà all’inizio del 2017, al massimo “entro marzo”, l’articolo 50 del trattato di Lisbona per l’avvio formale dell’iter di divorzio dall'Unione Europea. Lo ha detto la premier Theresa May, nella giornata di apertura della Conferenza annuale del Partito conservatore a Birmingham. Il referendum sulla Brexit del giugno scorso, ha aggiunto, “è stato legittimo” ed è da considerarsi come “il più grande voto per il cambiamento” che la Gran Bretagna abbia mai avuto. Immediate le ripercussioni sui mercati: in mattinata la sterlina ha ceduto lo 0,8% a 1,2865 verso il dollaro, avvicinandosi al minimo degli ultimi 31 anni; il pound scende anche verso l’euro. Sulla procedura di uscita di Londra dall’Ue, Giada Aquilino ha intervistato Antonio Villafranca, responsabile del programma Europa dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi):

R. – Dal momento in cui Westminster - perché non spetta al governo ma al Parlamento della Gran Bretagna - invierà alle istituzioni comunitarie la notifica, il processo negoziale per l’uscita della Gran Bretagna dovrà durare al massimo due anni, a meno che tutti i Paesi dell’Unione Europea all’unanimità non vogliano prorogarlo. Per approvare poi l’accordo sull’uscita entro due anni della Gran Bretagna è necessaria una super maggioranza da parte dei Paesi europei. Facciamo un esempio. Uno dei cavalli di battaglia della Brexit è stato quello di limitare l’ingresso dei lavoratori, ad iniziare dai lavoratori dell’est Europa; è abbastanza scontato pensare che i Paesi dell’est Europa non voteranno a favore di qualsiasi accordo che invece limiti proprio la circolazione dei lavoratori verso la Gran Bretagna. Quindi uno dei cavalli di battaglia della campagna di uscita di Londra dall’Ue rischia effettivamente di non potersi realizzare.

D. – Si può prevedere una data attorno al marzo 2019?

R. – La May ha chiarito anche i termini, nel senso che si deve stare attenti pure a quelle che sono le prossime scadenze elettorali, soprattutto quella relativa al Parlamento europeo. Quindi questa potrebbe essere una data entro la quale chiudere con la fuoriuscita della Gran Bretagna. Ciò non vuol dire chiudere l’intero processo negoziale, perché poi bisognerà definire esattamente i termini tecnici entro cui ci sarà il nuovo rapporto tra la Gran Bretagna e l’Unione Europea. E’ un processo che poi in realtà potrebbe durare anche sei, sette anni.

D. – Dopo la Brexit non potrà esserci più libertà di movimento per i lavoratori della Ue in Gran Bretagna. Significa quindi che Londra non potrà essere nel mercato comune?

R. – Questo è un nodo cruciale. Facciamo un esempio di ciò che già esiste oggi: il modello norvegese e il modello svizzero. Nel modello svizzero essenzialmente si ha una grande area di libero scambio e una partecipazione limitata della Svizzera al mercato unico, ma che permette ad esempio di fare limitazioni alle libertà di movimento dei lavoratori. Ma proprio per questa partecipazione molto limitata – essenzialmente è un’area di libero scambio – la Svizzera non ha il passaporto finanziario. Diverso è il caso norvegese: Oslo fa parte del mercato unico, quindi accetta tutti i regolamenti e le direttive riguardo al mercato unico pur non partecipando alla loro produzione, ma accetta anche la libertà di movimento dei lavoratori ed ha il passaporto finanziario. Detto in maniera molto semplice: se Londra vuole mantenere il proprio passaporto finanziario per la City, allora deve anche accettare la libertà di movimento dei lavoratori a prescindere da quelle che sono le richieste. Quindi questo è un punto fondamentale: o fai parte del mercato unico o non ne fai parte.

D. – Cosa si può prevedere: accordi caso per caso?

R. - Quello che si può prevedere è sicuramente un modello che si avvicini a quello norvegese, perché non vedrei altra soluzione per gli interessi stessi di Londra se non quella di avere un passaporto finanziario, altrimenti le operazioni svolte dalla City di Londra non potrebbero immediatamente applicarsi al resto dell’Europa. Ma è anche giusto dire che l’esito dipenderà tantissimo da quello che ovviamente saranno i risultati delle elezioni, soprattutto nei due Paesi principali, cioè Francia e Germania.

D. – C’è poi la questione delle leggi europee. Diventeranno leggi britanniche, verranno emendate, cancellate? Cosa succederà?

R. – Se la Gran Bretagna farà parte ancora del mercato unico, la cosa paradossale è che non solo dovrà contribuire al bilancio comunitario ma dovrà accettare tutta la legislazione europea, quindi regolamenti e direttive, senza poter intervenire nel processo di formazione di questa legislazione, come può fare adesso. È la stessa situazione in cui sui trova la Norvegia.








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