2016-10-03 08:10:00

Ungheria: voto su migranti senza quorum. Orban: no a quote Ue


L’Ungheria al voto referendario per dire ‘no’ alle quote obbligatorie dei migranti, decise dall’Unione europea, non raggiunge l’obiettivo del quorum del 50% + 1 dei votanti, ma il premier Viktor Orban, promotore della consultazione, annuncia comunque per oggi una modifica costituzionale e chiede all’UE di tenere conto dell’opinione di oltre 3 milioni di ungheresi. Il servizio di Roberta Gisotti:

3 milioni e 100 mila no – questi i dati quasi definitivi al 95% dello spoglio – non sono bastati a validare il referendum voluto dal governo nazional populista del premier ungherese Orban per respingere la ripartizione dei migranti attraverso le quote stabilite dalla Commissione europea. La partecipazione al voto si è infatti fermata al 43,4%  su 8,2 milioni di cittadini chiamati alle urne. Massiccia però l’adesione di chi ha votato al 98% No ai migranti, ritenuti ‘imposti’ dall’Ue. Cosicché il premier Orban, pure avendo fallito l’obiettivo del quorum del 50% + 1 dei votanti, ha chiesto all’Unione europea di tenere conto della consultazione, annunciando pure una modifica costituzionale che proporrà oggi al Parlamento ungherese, vantando di essere stato il primo Paese ad avere consultato il proprio popolo sul ricollocamento obbligatorio dei migranti, arrivati sul territorio dell’Ue. Tra le prime reazioni, quella del ministro degli Esteri italiano Gentiloni: “se non c’è solidarietà - ha detto -  fra i Paesi europei, ci giochiamo l’Europa”. Il presidente del Parlamento di Strasburgo, Schulz, non ha escluso tagli dei fondi europei agli Stati non solidali con i migranti.

Al nostro microfono abbiamo Marco Di Liddo, analista del  Ce.s.i. - Centro Studi Internazionali

D. Questo referendum appare un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, a seconda di chi ne valuta il risultato. Ma quali conseguenze porterà in Ungheria, e che tipo di modifica costituzionale ha in mente Orban? 

R. – Orban, avrebbe voluto sfruttare il referendum per poter portare a Bruxelles una decisione popolare ungherese e non quella della classe politica. Tuttavia chi è andato a votare è stato molto chiaro nella sua volontà di non volere i migranti sul proprio territorio. Diverse sono le idee che sta valutando il premier per la riforma costituzionale, ma probabilmente il contenuto di questa riforma sarà quello di impedire al Paese di recepire determinate istanze europee, nel caso in cui sia in pericolo la sovranità nazionale o meglio l’integrità culturale delle tradizioni ungheresi.

D - Tra le reazioni negative c'è quella del presidente del Parlamento europeo Schulz, che ha prospettato tagli dei fondi e dell’Ue ai Paesi che non sono solidali con i migranti. Ancora parole o si passerà ai fatti?

R. - Esiste la possibilità che vengano utilizzati questi tipi di strumenti per modellare, influenzare le decisioni politiche dei Paesi. Sarebbe un precedente pericoloso però, perché la nostra Unione non è soltanto divisa sul dossier dei migranti, ma è anche divisa su tanti altri dossier, a cominciare da quello alle sanzioni alla Russia. Quindi il vero pericolo è cosa succederà se in sede negoziale, l’Ungheria o gli altri Paesi del Gruppo di Visegrad chiedessero qualcosa in cambio, qualora decidessero di accettare le quote dei migranti. E la prima moneta di scambio non è costituita solo dai fondi europei, ma anche da un allentamento delle sanzioni verso la Russia, per la ripresa di rapporti commerciali proficui.

D. - Il premier Orban ha affermato che il suo è stato il primo Paese ad aver consultato il proprio popolo sul ricollocamento obbligatorio dei migranti. Dunque, si potrà avere un effetto domino anche su altri Paesi dell’Est Europeo?

R. - Questo è molto difficile da valutare. Il rapporto estremamente carismatico che c’è tra Orban e il popolo ungherese non è al momento replicato in nessun altro Paese europeo. Il vero pericolo è che simili dimostrazioni populiste, avallate però dalla legittimità dello strumento politico, vengano utilizzate contro Bruxelles. Quindi, secondo una linea in cui questi Capi di Stato carismatici decidono di presentare alle istituzioni europee il valore e il volere del popolo contro le fredde burocrazie.

D. - Ecco, dopo la Brexit, questo referendum può, però, apparire una cartina tornasole di un’Europa che non c’è, anche nella politica interna oltre che in quella estera…

R. - Assolutamente si! La politica estera è soltanto l’ultimo riflesso delle difficoltà che ha l’Unione; e in un mondo globalizzato è sempre più difficile scindere la politica estera da quella interna. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che le decisioni che vengono prese a Bruxelles, sono sempre decisioni prese da tutti i Paesi membri e non da un ente distaccato, dispotico e sopraelevato: in molte occasioni le classi politiche europee, in maniera predatoria, imputano a Bruxelles responsabilità e decisioni che, invece, hanno parte della loro origine proprio all’interno del loro stesso territorio nazionale. Uno dei problemi più seri è che c’è una disillusione e un disinnamoramento del popolo europeo verso il sogno europeista. Bisognerebbe eventualmente rilanciarlo in altri modi e non sicuramente con politiche che cercano invece di risolvere i problemi dell’Unione in maniera poco solidale, poco sociale e troppo strette in vincoli di bilancio e poco su misure di sviluppo.








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