2016-10-11 13:50:00

Siria. Ban Ki-moon: Consiglio di sicurezza chieda intervento Cpi


Ancora nessuna soluzione politica in Siria mentre la violenza continua. Il regime ha lanciato un’offensiva nel distretto meridionale di Aleppo e i ribelli hanno attaccato l’area di Latakia e Daraa, dove almeno 5 bambini sono morti nel bombardamento di una scuola. Intanto se Russia e Stati Uniti si rafforzano militarmente, il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon torna a spingere il Consiglio di Sicurezza perché chieda un'indagine della Corte Penale Internazionale sui crimini commessi in Siria. Con quali prospettive e per quali motivi? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Mauro Politi docente di Diritto internazionale dell'Università di Trento, già giudice della Corte Penale Internazionale e membro del comitato Onu sui diritti umani:

R. – L’appello di Ban Ki-moon è certamente importante, dal punto di vista politico e dal punto di vista della reiterazione della presa di coscienza della comunità internazionale sul fatto che l’impunità per certi crimini che offendono il genere umano non può più essere tollerata.

D. – Ecco: ma quali sono i riscontri pratici, immediati, che può avere questo accorato appello, visto che già nel 2014 un analogo appello era stato bloccato da Russia e Cina?

R. – Ci sono difficoltà di ordine tecnico, relative alla possibilità per la Corte di intervenire sulla base dei criteri di giurisdizione. Ma c’è una possibilità a cui certo si riferiva l’appello di Ban Ki-moon: quando il Consiglio di Sicurezza rinvia una situazione alla Corte, non ci sono limiti di giurisdizione. E in effetti, il Consiglio di Sicurezza è intervenuto in questo senso già due volte: questo significa che in teoria, almeno, il Consiglio di Sicurezza potrebbe rinviare la situazione siriana alla Corte Penale Internazionale. Certo è evidente che potrebbero esserci dei veti. Ora, aggiungo perché non si pensi che la situazione sia disperata, da questo punto di vista, che potrebbero verificarsi delle condizioni politiche per cui Paesi che al momento sembrano contrari, potrebbero decidere – ad esempio – di astenersi dal voto. Se si astenessero, secondo la prassi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, l’astensione non equivarrebbe a veto e quindi potrebbe passare una risoluzione.

D. – Secondo lei, il Segretario Ban Ki-moon in questo momento ha un ruolo di suggeritore di una maggiore azione politica laddove non c’è?

R. – Certamente svolge il suo ruolo e lo svolge egregiamente,ruolo di stimolo nei confronti degli Stati. Però, poi le Nazioni Unite, nel momento decisionale sono nient’altro che gli Stati e gli Stati più importanti, cioè fondamentalmente i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza che hanno le chiavi del potere. E quindi in una situazione di questo genere, in cui il Consiglio di Sicurezza è l’unico meccanismo possibile di attivazione della Corte, l’appello del Segretario generale è sicuramente molto importante, ma non è decisivo . Ma ripeto: la situazione è difficile, però potrebbero darsi delle condizioni perché ad esempio la soluzione politica non si trova, ma si trova una soluzione che porti quantomeno la comunità internazionale a essere d’accordo sul fatto che i responsabili di atti simili vanno portati davanti a giustizia. E’ ovvio che tutto questo si scontra anche con la questione politica delle responsabilità di certi capi di Stato e di governo e quindi, insomma, è un punto molto delicato anche sotto questo profilo.

D. – Qualora la Corte Penale Internazionale intervenisse, che peso avrebbe in questo contesto?

R. – La Corte non ferma la guerra, ma certamente una certa funzione di deterrenza le si può riconoscere, accanto a una funzione di ristoro dei diritti delle vittime.

D. – Perché si ha la sensazione che veramente gli organismi in difesa dei diritti umani non hanno la possibilità di dire “basta”?

R. – Perché gli Stati non gliel’hanno data, ancora, questa possibilità …








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