2016-10-11 15:13:00

Terremoto, ok alla ricostruzione: Dominici: seguire "modello Friuli"


“Approvato stamattina il decreto legge terremoto. Avevamo promesso: non vi lasceremo soli. E così faremo. Tutti insieme”. Così il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha annunciato l’ok al provvedimento per la ricostruzione dopo il sisma che il 24 agosto scorso ha colpito il Centro Italia. L’ok è arrivato al termine del Consiglio dei ministri. Il premier ha poi visitato le zone terremotate. Alessandro Guarasci:

Renzi punta a una ricostruzione veloce. Il premier ha detto che “abbiamo accolto il principio che anche le seconde case saranno restaurate in questo territorio perché altrimenti se non consenti di avere gli strumenti finanziari anche per le seconde case le comunità muoiono. Questo è l'elemento di novità del decreto”. Il presidente del Consiglio precisa che "dobbiamo ricostruire a regola d' arte e senza sprechi.

L'autorità anticorruzione e il Commissario straordinario vigileranno affinché questo avvenga". Renzi si è recato nelle zone rosse di Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto. Poi è arrivato l’annuncio che Diego Della Valle aprirà una fabbrica proprio a Pescara del Tronto. Il sindaco di Amatrice Pirozzi ha detto che “nel decreto sono state riconosciute le nostre istanze, a partire da quella di equiparare prime e seconde case nella politica dei risarcimenti”. 

 

In tema di ricostruzione viene spesso citato il “modello Friuli”, mai però in seguito replicato. Si può dire che in questo caso il Friuli sta facendo scuola? Adriana Masotti lo ha chiesto a Roberto Dominici, assessore regionale alla ricostruzione in Friuli dopo il terremoto del 1976:

R. – Il modello Friuli è un modello composto da tutta una serie di scelte, collegate ovviamente l’una con l’altra, che però sostanzialmente tutte discendono da una scelta di fondo: la decisione dello Stato di delegare l’opera di ricostruzione alla Regione Friuli Venezia Giulia e lo Stato – addirittura – ha aggiunto che la Regione, con le sue leggi, avrebbe potuto derogare in termini di modalità di interventi, a tutta la normativa, anche nazionale, in quel momento esistente. Quindi c’è stata un’ampia, amplissima delega alla Regione e la Regione si è avvalsa dell’opera dei Comuni. La trasparenza, nel nostro caso, è stata abbastanza automatica, perché c’era un controllo politico popolare su tutte le operazioni. I sindaci potevano decidere soltanto in relazione al parere di una commissione consiliare comunale, nella quale c’era obbligatoriamente la presenza della minoranza. E tutti i contributi concessi ai vari soggetti interessati venivano automaticamente pubblicati. Quello che vedo nell’Italia centrale è che non c’è stata una delega alle Regioni, ma si è nominato un commissario che si avvale, sì, dell’apporto e della consulenza dei presidenti delle Regioni, ma la Regione in sé non è stata investita come qui. Qui si è reciso tutto con leggi regionali, quindi con il confronto politico in Aula.

D. – Secondo lei, quali sono i rischi del commissariamento di aver cioè affidato la ricostruzione a un commissario straordinario?

R. – Il rischio è che il commissario accentri in sé le decisioni, pur sentendo i presidenti delle Regioni. Cioè, è tagliato fuori il Consiglio regionale, sono tagliati fuori i Consigli comunali.

D. – In Friuli, poi, si era data precedenza alla ripartenza delle attività lavorative, prima ancora della ricostruzione delle case. Anche adesso, mi pare che ci si orienti a questo …

R. – Da noi, una delle scelte proprio di partenza nella ricostruzione è stata quella di dire: prima le fabbriche, poi le case. Perché, “prima le fabbriche”? Perché il Friuli aveva da poco smesso il fenomeno migratorio, però si temeva che, perduta la casa e perduto il posto di lavoro, si rideterminasse un nuovo flusso di emigrazione e quindi si è intervenuti sulle fabbriche. La scelta di intervenire prima sui settori produttivi è stata una scelta positiva, che mi pare – a quanto vedo – venga replicata anche nel caso dell’Italia centrale.

D. – Quali altri cardini della ricostruzione di allora, in Friuli, potrebbero essere replicati?

R. – A parte la scelta di fondo che, come ho detto,  è diversa, poi nei vari contenuti specifici devo rilevare che è positivo anche il rifiuto che viene opposto, attualmente, alle cosiddette “new town”. Il problema si era posto anche qui, e noi l’abbiamo scartato perché se realizzato, avrebbe significato praticamente far cambiare connotati a larga parte del Friuli. Quindi, ricostruire dove era e come era, cioè mantenere l’identità complessiva della comunità locale. Perché noi abbiamo scoperto che nel momento del terremoto, i valori storici, le tradizioni sono riemersi, sono stati – come dire – rivitalizzati e hanno costituito il tessuto e quindi il coagulo dell’unità dei vari paesi e delle realtà locali. Io mi auguro che altrettanto avvenga laggiù e da quanto si sente pare che questa scelta sia proprio una scelta che viene totalmente sposata anche per questa nuova realtà.

D. – Tanti i soldi che servono per la rinascita, dopo un terremoto. Ma che altro occorre?

R. – Eh … servono tante cose! Servono i soldi, certamente; ma serve creare un tessuto di unità operativa tra tutti e intendo quindi le forze produttive, le forze sociali, le forze economiche, intendo la Chiesa … cioè tutto ciò che può essere utile nel dare una mano, perché solo con una grande unità di popolo si superano momenti straordinari e difficili come sono quelli della ricostruzione. In fondo, tutti devono rendersi conto che, ricostruendo dopo un terremoto, si va a definire quello che sarà il volto delle singole comunità per il futuro. Ed è giusto che la gente partecipi alle decisioni: certamente, chi deve decidere deve decidere, ma mai sopra la testa della gente!








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