2016-10-12 14:42:00

Francesco: prevenzione e cura ambiente limitano disastri naturali


All’udienza generale il Papa ha ricordato che domani, 13 ottobre, ricorre la Giornata internazionale per la riduzione dei disastri naturali. Questo il suo appello:

“I disastri naturali potrebbero essere evitati o quanto meno limitati, poiché i loro effetti sono spesso dovuti a mancanze di cura dell’ambiente da parte dell’uomo. Incoraggio pertanto a unire gli sforzi in modo lungimirante nella tutela della nostra casa comune, promuovendo una cultura di prevenzione, con l’aiuto anche delle nuove conoscenze, riducendo i rischi per le popolazioni più vulnerabili“.

 Il tema della Giornata di quest'anno è “Ridurre la mortalità”, primo obiettivo dei sette che le Nazioni Unite si sono poste entro il 2030. Il servizio di Gabriella Ceraso:

Prevenire in modo corretto, allertare in modo sempre più veloce, costruire meglio, tener conto delle esperienze vissute: tutto questo serve a ridurre la mortalità per i disastri naturali. L’Onu e lo spot lancio per la giornata del 13 ottobre, ribadisce che in 20 anni sono morte oltre 1milione e trecentomila persone per terremoti, inondazioni, siccità, tsunami. Entro il 2030 devono calare almeno di 100mila unità chiede l’Onu che sottolinea, come anche il Papa che il tributo più alto lo pagano ancora  le comunità più vulnerabili .E’ inaccettabile spiega ai nostri microfoni  Fausto Guzzetti direttore Irpi, Istituto di ricerca per la Protezione idrogeologica, del Cnr:

R. – Ovviamente non è accettabile, eticamente accettabile questo fatto, perché si hanno conoscenze enormi sui rischi naturali che poi non vengono applicate. Nei posti poveri del mondo muore molta più gente per i rischi naturali che nei posti ricchi. Però la differenza enorme, secondo me, la fa proprio l’organizzazione che c’è.

D. – Il primo punto che l’Onu raccomanda nella questione mortalità è migliorare la comprensione dei fattori di rischio. Che significa?

R. – Da una parte, una migliore conoscenza dei fenomeni fisici che stanno alla base di queste cose. Dall’altra parte una migliore consapevolezza della gente sui rischi che corre. Per esempio, a Cuba, quando ci sono grossi uragani hanno molte meno vittime degli altri Paesi caraibici attorno che hanno economie abbastanza simili. I cittadini sono informati, sanno come comportarsi. In Giappone ma anche a Taiwan queste  cose vengono insegnate ai bambini. In quei posti la mortalità sta scendendo.

D. – Invece per quanto riguarda la governance dei rischi di catastrofi - per esempio, si parla anche dei sistemi di allerta - le tecnologie non ci dovrebbero permettere di averlo archiviato questo capitolo?

R. – Sì e no, nel senso che alcune tecnologie ci sono… Purtroppo sono ancora tecnologie che costano molto e quindi alcuni Paesi se le possono permettere e altri no. Però questi sistemi sono importantissimi e sono ancora più importanti se prevedono il coinvolgimento della gente locale, della realtà locale, dei cittadini, dei villaggi… Dove la gente è informata muore meno.

D. – Il passato, le esperienze passate, dice l’Onu, devono servire da lezione…

R. – Purtroppo non è così. Allora, a livello globale la situazione è davvero complicata però alcune cose sono prevedibili e si potrebbe fare qualcosa ma impatta su un tessuto sociale, politico, istituzionale, organizzativo che è diverso da posto a posto, che cambia da posto a posto. Ma cambia a livello globale come cambia addirittura a livello locale: cioè, il gradiente che c’è nel mondo, calato nel nostro piccolo, ce l’abbiamo in Italia, per cui dove ci sono regioni più preparate e regioni molto meno preparate e nel mondo ci sono nazioni preparate e nazioni molto meno preparate. Quindi in un mondo perfetto riusciremmo realmente a imparare le lesson learned, riusciremmo realmente a imparare  dal passato. La realtà dei fatti ci dice che ancora lo stiamo facendo molto poco.

D. – Il Papa oggi sottolinea comunque che bisogna lavorare insieme a tutti i livelli specie perché chi ne paga le conseguenze sono spesso le persone più vulnerabili…

R.  – Certo. Questa è una consapevolezza che è ben consolidata, per fortuna, perché un tempo si pensava che queste cose le dovessero affrontare solo gli esperti. Invece no, è tutto il sistema: il singolo cittadino, la singola persona, il singolo ragazzino dentro a una scuola può fare la differenza. Non ci si riuscirà mai a difendere con solo la scienza, solo la tecnologia, solo l’infrastruttura, solo i soldi… Costa troppo, è troppo complicato. Uno dei motivi per cui, lo scambio delle informazioni, delle lesson learned, non ha avuto così successo in passato è proprio perché questa sinergia non c’è stata. Non che sia facile farla. E’ una bella idea ma poi quando si applica è molto complicata da fare. Però è l’unica strada.








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