2016-10-13 12:33:00

La morte di Dario Fo: un ateo in cerca di Dio


Una personalità incontenibile, un artista poliedrico, il “giullare” della cultura italiana. Di Dario Fo, in queste ore, si stanno inseguendo le definizioni, mentre la notizia della sua scomparsa da subito ha fatto il giro del mondo. Aveva 90 anni, ed è morto all’ospedale Sacco di Milano per complicazioni respiratorie. Scrittore, attore, regista, pittore, scultore, autore di canzoni, politico, Dario Fo, Nobel nel 1997 per la Letteratura, ha al suo attivo oltre cento commedie, intrise di satira e comicità. Fino all’ultimo è stato lucido e presente, tanto da apparire in pubblico soltanto pochi giorni fa: “Se mi dovesse capitare qualcosa, dite che ho fatto di tutto per campare”, avrebbe detto fino all’ultimo. Accanto a lui, per tanti anni, Franca Rame, la cui morte, nel 2013, segnò “il più grande dolore” della sua vita; con lei, come ripeteva, aveva “vissuto tre volte più degli altri”. Per ricordarlo, riascoltiamo Dario Fo in un’intervista rilasciata nel 2014 a padre Vito Magno per la Radio Vaticana:

D. – Dario Fo, è noto come i "Fioretti di San Francesco" siano un pezzo forte del suo teatro. Cosa più l’attrae del Santo di Assisi?

R. – Diciamo che lui fa che la sua vita non può essere quella che portava prima e cioè quella di non fermarsi alle armi e alla lotta soltanto per la giustizia, ma anche un problema della fame, quello della dignità degli uomini, che in gran parte – in quel tempo – sono minori, sono disperati. E istituisce questo gruppo, che a un certo punto non si preoccupa neanche solo di andare incontro ai bisogni; ma soprattutto si preoccupa di scoprire in quello che Dio ha dato, qualcosa di meraviglioso. E prendere il dono di Dio - la natura, l’aria, il sole, le stelle… - e apprezzarle è una rivoluzione straordinaria!

D. – Come quella che in altro modo e in altro campo sta realizzando Papa Francesco: so che lei lo stima. Cosa ha in comune con San Francesco?

R. – Prima di tutto per il coraggio che ha nell’esporre e nel criticare coloro che fanno del proprio agire un problema di caccia, di raggiungere il bene materiale ad ogni costo.

D. – Questo suo accostarsi alla vita dei Santi, la porta anche a credere?

R. – Io non sono un religioso, ma ammiro enormemente la religiosità popolare. Penso che sia una delle grandi conquiste della gente che non ha niente. E’ riuscita ad avere la festa e la felicità davanti alle cose minime, piccole. Scoprire che si può buttare all’aria, rovesciare il mondo e ritrovare nelle cose da poco il massimo. Il massimo è nel minimo, insomma.

D. – Capita anche a lei di essere felice in questo modo?

R. – Senz’altro. Prima di tutto ho avuto una vita straordinariamente fortunata. E poi siccome ho imparato che fare le cose insieme agli altri sia una delle più belle soddisfazioni in questo mondo, ecco che io mi trovo a lavorare con i giovani in moltissime condizioni e questo mi aiuta ad essere vivo, a superare il minimo; e non solo, tutte le volte tentare di dare il meglio di quello che posso.

D. – Dario Fo, ora che la sua Franca non c’è più, com’è la sua vita?

R. – La sua sortita dal mondo mi ha lasciato un grandissimo vuoto… Enorme! Penso sempre a lei ogni volta che devo fare qualche cosa, perché dico: “Cosa farebbe, Franca, se fosse qui con me?”. Abbiamo vissuto una vita insieme ed è difficile – difficilissimo! – imparare a vivere da solo… Sì, con tutti gli amici, ma Franca era l’assoluto dello stare insieme.

D. – Non pensa che un giorno potrà rivederla?

R. – Penso anche a quello… Ogni tanto la sento: sento una sua presenza, sento che mi aiuta, sento che si preoccupa di me.

D. – Crede allora nell’aldilà?

R. – Non so come chiamarlo, perché rimango sempre ateo. E non so se sia un bene o una mancanza…

D. – Potrei almeno chiamarlo un ateo che cerca?

R – Va bene, sì...








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