2016-10-14 14:59:00

Eutanasia in Olanda. Gigli: la società ridia valore alla vita


“In Olanda si vuol introdurre un principio che contrasta con i fondamenti delle democrazie occidentali che fanno leva sulla solidarietà”. Ad affermarlo è Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita, in merito alla notizia secondo cui l’Olanda potrebbe legalizzare il suicidio assistito per le persone che sentono di aver 'completato la propria vita', anche se non sono malate terminali. "Una cultura nazionale in cui il valore della vita è andato perso e che fotografa un paese ormai perduto”, scrive in una nota l’on. Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la Vita italiano e deputato del gruppo "Democrazia sociale". Ascoltiamo il suo commento al microfono di Adriana Masotti:

R. – Diciamo che di fronte a quella notizia si rimane stupefatti, cioè il pendio scivoloso su cui l’Olanda da tempo si è avviata e il Belgio con essa, sembra non avere termine. Quando si arriva al punto che un governo nazionale, nella persona del ministro della Salute, addirittura, oltre che di quello della Giustizia, finalizza il Servizio sanitario nazionale a un’opera di suicidio assistito dalle strutture sanitarie di tutti coloro che ne facciano richiesta, perché semplicemente sono stanchi di vivere, vuol dire che c’è una perversione del sistema politico e del sistema sanitario stesso, che ormai è evidente.

D. – Sono le motivazioni di questa eventuale richiesta di suicidio assistito che spaventano, possiamo dire: perché i ministri olandesi parlano in generale di persone che non riescono più a dare un senso alla propria vita, che vivono male la loro perdita di indipendenza, che hanno un sentimento di solitudine …

R. – Fa impressione, certamente sì! A me lascia intravvedere i contorni pericolosi di un’operazione nella quale l’uomo, ridotto esclusivamente alla sua fase di produzione, di efficienza, non ha più valore alcuno e rischia quindi di essere poi accompagnato fuori dalla porta o indotto a pensare di sentirsi di troppo, in questa società.

D. – Come si sente un medico, come lei, ad esempio, quando sente dire che di fronte al dolore o alla depressione viene proposta l’eutanasia? Ecco, la scienza non si sente umiliata anche nella sua ricerca?

R. – Eh … ma vede, il dramma è proprio questo, cioè che purtroppo la medicina contemporanea è entrata nella dimensione non più del giuramento ippocratico – non far male al paziente – e stabilire con il paziente un’alleanza terapeutica. La nostra medicina contemporanea sta entrando sempre più nella dimensione della medicina dei desideri, dove tu sei un tecnico esecutore di ordini, in qualche maniera. E io, perché non debbo aiutarti, se vivo in una dimensione contrattualistica? A me, come medico, la prima tentazione che viene è quella di dire: “Ho studiato invano e butto via il camice”. Poi subentra la reazione e penso che questa nostra società e questa nostra medicina abbiano bisogno di una forte testimonianza alternativa.

D. – C’è però anche tutta una ricerca e anche delle acquisizioni ormai, per quanto riguarda le cure palliative il contrasto al dolore …

R. – Certo! Ma infatti, il dramma maggiore è proprio che stiamo rinunciando a fare i medici. Ma un depresso è un malato, sì o no? A me avevano insegnato di sì. Di fronte a una malattia, che cosa faccio? La curo. E ho anche gli strumenti per curarla. Abbiamo a disposizione oggi farmaci molto efficaci. Allora, noi rinunciamo a curare, rinunciamo ad accompagnare, stiamo rinunciando all’essenza della nostra professione medica.

D. – Poi, dal punto di vista sociale ci si sente male vedendo ipotizzare tra noi non uno spirito di sostegno alla vita, ma un’assistenza alla morte. Si dice che sia crescente il desiderio, nella società, di poter porre fine alla propria vita: c’è chi invece si impegna a dare senso, a dare anche ai giovani motivi per vivere …

R. – E’ quello che cerchiamo di fare come Movimento per la Vita. Credo che sia più in generale il compito di ogni cristiano: ridare speranza, ridare significato a una società intera che lo sta smarrendo. Di fronte a tutto questo, noi dobbiamo ridare cittadinanza a tutti i più deboli, dobbiamo dare significato a quelle forme di vita umana che apparentemente non sembrano né belle né produttive. Dobbiamo – per dirla con il Papa – riprendere in mano una società che è avviata verso la cultura dello scarto e trasformarla invece in una società nella quale ogni vita ha la sua pienezza di significato.








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