2016-10-17 13:50:00

Emergenza umanitaria Sud Sudan: 5 milioni di persone a rischio


Resta difficilissima la situazione umanitaria in Sud Sudan per la difficoltà degli operatori internazionali nel distribuire gli aiuti alimentari alle popolazioni. Il Programma alimentare mondiale (Pam) lancia un appello: tra quattro e cinque milioni di persone rischiano di morire per mancanza di cibo. Secondo quanto riportato dell’agenzia Fides, particolarmente difficile è la condizione degli abitanti di Aweil, nel Nord del Paese, dove i campi sono ricchi di cibo ma la popolazione non può comprarli per i prezzi saliti di dieci volte rispetto allo scorso anno. Una crisi umanitaria determinata dalla guerra civile iniziata nel 2013 e acuita da persistenti contrasti etnici e dal conflitto politico tra il presidente Salva Kiir e l’ex vice presidente Riek Machar. Nei giorni scorsi, nella capitale Juba, si è diffusa la falsa notizia della morte di Kiir e molti cittadini hanno abbandonato le proprie case, alcune delle quali sono state oggetto di saccheggi. Per una testimonianza dal Sud Sudan, Elvira Ragosta ha raggiunto telefonicamente a Juba padre Daniele Moschetti, superiore provinciale dei comboniani:

R. – La situazione si sta aggravando sempre di più. Siamo alla fine della stagione delle piogge e anche questo influenza tantissimo i movimenti. Il lancio del cibo in alcune zone diventa difficile via terra. Ci sono 5 milioni di persone a rischio fame, con tutto quello che comporta soprattutto per i bambini e le donne, soprattutto dove c’è stata la guerra in questi ultimi tre anni. Si tratta di una delle zone dei tre Stati del petrolio - Unity State, Jonglei State ed Upper Nile - dove praticamente la guerra ha distrutto un po’ tutto, dove c’è gente - anche nelle campagne - che è fuggita. Ci sono quindi più di un milione di persone fuori del Paese e quasi 300 mila persone dentro il Paese, soprattutto nei campi profughi interni.

D. – La crisi umanitaria è la conseguenza anche dell’attuale turbolenza politica. Qualche giorno fa si è diffusa a Juba la falsa notizia della morte del presidente Salva Kiir. La cosa ha creato panico nella popolazione, che è scappata, e ci sono stati dei saccheggi. Resta ancora molto difficile la situazione politica nel Paese: si parla di lotte di potere all’interno dello stesso schieramento di Salva Kiir, mentre il suo avversario, l’ex presidente Riek Machar, non si trova in Sud Sudan in questo momento. Com’è la situazione politica?

D. – A Juba, la capitale, c’è molta tensione. Martedì sera, quando si è diffusa la notizia di questa probabile morte di Salva Kiir, che sicuramente viene fuori dai circoli interni del governo, c’è stata una grande fuga della gente dalla città, per paura di rappresaglie, quindi di prese di potere di qualche altro militare. Fanno nomi di alcune persone, logicamente, all’interno del governo, dei militari, e la gente soprattutto delle altre etnie fugge. Quando c’è una psicosi di questo genere, quando si vedono movimenti dei militari, qui la gente ha molta paura. Purtroppo quello che succede in altre zone sono scontri, scontri concreti nello Unity State, in Central Equatoria e Western Equatoria, dove i militari dell’Spla, quindi dell’esercito regolare, combattono contro vari gruppi di ribelli, che non necessariamente si riferiscono a Riek Machar, perché oggi i gruppi ribelli sono aumentati nel numero e appartengono a diverse etnie. La guerra, quindi, si è espansa in un modo o in un altro anche in altre zone del Paese e con l’economia ormai al collasso totale la gente riesce a malapena a mangiare una volta al giorno. A livello politico, purtroppo, non si vedono segni di impegno verso quello che può essere un discorso umanitario, perché si è concentrati totalmente sull’arena militare e politica, che non è chiara. Tutti e due i leader sono malati. Ci sono poi altri gruppi etnici che sono ormai tutti contro la realtà di un governo ovviamente Dinka. Questo purtroppo è il vero problema. E’ una guerra, iniziata già nel 2013 esclusivamente etnica: prima era una guerra Nuer-Dinka, oggi è Dinka contro tutti.

D. – L’impegno della Chiesa per il Sud Sudan continua. E’ stato di recente aperto un centro per la pace proprio a Juba…

R. – Questa è stata una delle cose che abbiamo fatto noi come religiosi cattolici in Sud Sudan per l’evangelizzazione, per l’educazione, quindi per la formazione umana e per la sanità. Portiamo avanti tantissimi programmi in vari ambiti, proprio  a sostegno di tutte le Chiese locali cattoliche delle sette diocesi che esistono in Sud Sudan e sabato appunto abbiamo aperto questo centro, che si chiama “Centro della pace del Buon Pastore”. Questo è un centro che vuole portare insieme le varie etnie, per fare programmi di formazione umana, spirituale, di “peace building”, costruzione della pace, di “trauma healing”, guarigione dai traumi, perché stiamo parlando di etnie, di milioni di persone, che hanno vissuto 40 anni di guerra.








All the contents on this site are copyrighted ©.