2016-10-21 14:04:00

Morte di una gestante a Catania: obiezione di coscienza non c'entra


Sono giunti all'ospedale Cannizzato di Catania gli ispettori nominati dal ministro alla Salute Lorenzin per accertare se siano state rispettate tutte le procedure previste nel caso di Valentina Milluzzo, la donna di 32 anni deceduta dopo aver dato alla luce due gemelli senza vita. La Procura ha iscritto nel registro degli indagati 12 medici come atto dovuto. Nell'inchiesta emerge il ruolo di un medico obiettore che, secondo i legali della famiglia della donna, avrebbe impedito l'aborto necessario per salvare la mamma. Ma cosa dice la dottrina della Chiesa in proposito? Sentiamo don Mauro Cozzoli, docente di teologia morale alla Pontificia Università Lateranense, al microfono di Fabio Colagrande:

R. – Laddove c’è un problema anzi addirittura un’emergenza terapeutica curativa, il medico deve sempre intervenire. L’obiezione di coscienza non esime mai il medico dalla cura, va subito chiarito. Per cui il medico obiettore di coscienza deve sempre  intervenire per curare. Questo è indubbio.

D. – Ciò significa che se una partoriente sta rischiando la vita, un medico obiettore può praticare l’interruzione di gravidanza?

R. – Allora, l’insegnamento della Chiesa a riguardo dice che l’interruzione di gravidanza deve essere evitata soltanto nei casi in cui è volontaria e soprattutto è diretta, il che vuol dire che si assume come fine dell’atto dell’intervento la soppressione e l’uccisione dei feti; non quando invece l’atto è curativo, terapeutico: cioè ha lo scopo di curare e salvare la partoriente. Può esserci il caso che nell’atto curativo non si riesce a salvare la vita del bambino, del feto. In questo caso l’aborto è indiretto perché non è voluto, né come fine dell’intervento terapeutico, né come mezzo per raggiungere il fine. E’ semplicemente una seconda conseguenza inevitabile, perché se la posso evitare la devo evitare. Nel caso in cui è inevitabile io posso intervenire per salvare la donna accettando la perdita di quella vita fetale, di quel bambino; accettandola perché l’intervento non la procura.

D. – Se, per ipotesi, questo medico obiettore di coscienza non si fosse adoperato per salvare la vita di questa donna sarebbe perciò colpevole anche moralmente?

R. – Esatto, la sua sarebbe un’omissione di cura. Se avesse invocato l’obiezione di coscienza per sottrarsi all’intervento terapeutico, questo medico sarebbe moralmente e legalmente perseguibile. Anche se da quello che ha dichiarato il direttore del nosocomio e dai primi accertamenti della procura di Catania sembra che non sia proprio questo il caso.








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