2016-10-26 13:31:00

Accordo di collaborazione tra Ministero e musei ecclesiali


Dei quasi 4.600 musei e istituti simili presenti in Italia, oltre il 20% è costituito da musei ecclesiastici. Parte da questo dato l’accordo di collaborazione, che verrà firmato oggi pomeriggio tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e i Musei ecclesiastici, perché questi siano riconosciuti come parte integrante del patrimonio storico, artistico, e culturale dell’Italia e del suo sistema  di tutela e valorizzazione. Ascoltiamo il commento di Domenica Primerano, Presidente Amei, l’Associazione Musei Ecclesiastici  Italiani, raccolto da Marina Tomarro.

R. – Per noi è una giornata molto importante, perché finalmente il nostro comparto museale viene identificato come una realtà specifica, con proprie caratteristiche, con una mission analoga, mentre in precedenza i nostri musei, che pure sono più di 800, venivano semplicemente equiparati ai musei di interesse locale. Anche nella recente riforma Franceschini, si parlava di musei demo-antropologici, di musei scientifici, ma i musei ecclesiastici non erano riconosciuti come realtà autonoma. Naturalmente, questo non significa che noi vogliamo rivendicare la nostra diversità per chiuderci o per alzare barriere, assolutamente! Invece, la nostra specificità diventa una ricchezza se messa a disposizione dei futuri sistemi museali ai quali noi abbiamo dato la disponibilità a partecipare, sia nella progettazione che poi nella realizzazione; offrendo proprio una nostra lettura del patrimonio, che va ad intrecciarsi con quella degli altri musei per avere un’interpretazione unitaria, globale, di quello che è il patrimonio italiano.

D. – Come dovrebbero essere valorizzati maggiormente questi musei, secondo lei?

R. – I nostri musei sono poco conosciuti, poco frequentati, e questo perché purtroppo c’è questo assurdo pregiudizio che ci vede ancora come sagrestie polverose. In realtà i nostri musei sono musei vivi, che offrono anche attività varie: percorsi sul territorio, mostre, ricerche – perché siamo anche luoghi di ricerca – luoghi di tutela attiva perché possiamo disporre dell’inventario dei beni storico-artistici che la Cei ha promosso in ogni diocesi. Quindi, abbiamo una conoscenza approfondita del nostro territorio che mettiamo a disposizione dei nostri visitatori attraverso delle attività che rendono accessibili a tutti la cultura. Quindi, per valorizzarli bisognerebbe riuscire a convincere il pubblico che, entrando nei nostri musei, si entra in luoghi che sono aperti a credenti e ai non credenti. Anzi, sono luoghi che si pongono come ponti tra chi crede e chi non crede.

D. – Perché restano sempre un po’ nascosti al turismo di massa?

R. – La nostra mission è soprattutto rivolta ai residenti, perché noi siamo musei della comunità locale. Ma possiamo anche offrire un punto di vista al visitatore, al turista che arriva in un luogo e vuole capire quale sia l’identità di quel luogo. Bisognerebbe appunto che il turista capisse che facciamo parte dell’offerta turistica; e qui dovrebbero aiutarci anche le strutture che promuovono l’offerta turistica e culturale dei luoghi. E questo è uno dei punti dell’accordo in cui si parla proprio di promozione a livello locale, nazionale e internazionale dei nostri musei. Noi non abbiamo purtroppo la possibilità di fare pubblicità ai nostri musei perché le nostre risorse sono spesso limitate. Quindi tante volte c’è la frustrazione di fare un bel lavoro – un lavoro fatto con passione – un lavoro che però tante volte viene inappagato dal fatto che poi non vengono comunicate le cose che facciamo. Speriamo che con questo accordo ci sia maggiore attenzione per la nostra proposta culturale. 








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