Una donna ha capacità uniche e insostituibili nel placare i venti di una guerra, disinnescare un potenziale scontro violento cogliendo le “soluzioni più efficaci” che aprono al dialogo. E' quanto ha detto l’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di New York, mons. Bernardito Auza, durante un intervento su “donne, pace e sicurezza” tenuto ieri al Palazzo di Vetro. Una madre di famiglia - ha affermato - può risultare “essenziale” non solo per la tranquillità della sua casa, ma anche “per una società pacifica, inclusiva e sicura”.
Dono speciale
Il ruolo della figura femminile nelle crisi e nella loro soluzione è un aspetto sul
quale da tempo si discute all’Onu. Mons. Auza è tornato a offrire il punto di vista
della Santa Sede al cospetto dei delegati dell’Onu sull’onda di quanto già affermato
da Papa Francesco l’anno scorso dalla tribuna dell’Assemblea generale. Per il rappresentante
vaticano bisogna lavorare per radicare a livello internazionale la consapevolezza
di quanto sia “fondamentale” l’azione delle donne tanto “nella prevenzione dello scoppio
della guerra attraverso la mediazione e diplomazia preventiva”, quanto nel “conciliare,
riabilitare e ricostruire le società in situazioni post-belliche, evitando ricadute
nei conflitti armati”. “Le loro peculiari capacità di portare ordine nel caos, nelle
comunità divise, e la pace nei conflitti”, come pure “il loro dono speciale nell’educare
le persone a essere più ricettive e sensibili alle necessità degli altri”, sono “essenziali
– ha affermato mons. Auza – per risparmiare al nostro mondo ulteriori flagelli della
guerra e aiutare a guarire le ferite dei violenti conflitti passati e attuali”.
Istruzione contro emarginazione
Al valore del ruolo delle donne per società più sicure è legato quello della loro
istruzione. Per l’osservatore della Santa Sede sarà difficile che le donne possano
esercitare la loro positiva influenza se continueranno ancora, ha osservato, “a rappresentare
un numero sproporzionato tra le persone svantaggiate nel mondo”. Troppe ragazze e
donne, ha affermato, “non hanno pieno accesso all'istruzione” e questo si traduce
di norma “nella condanna a un ruolo di seconda classe all'interno della società e
in un impedimento a essere ascoltate”. L’istruzione è un “fattore qualificante” e
la Chiesa, ha ricordato mons. Auza, conta in “maggioranza” donne e ragazze in molte
delle sue “oltre 100 mila scuole” in tutto il mondo, “dall’asilo all'università”,
in particolare “nelle regioni in cui donne e ragazze ancora patiscono la discriminazione”.
Lotta alla povertà, uso delle risorse
Terzo aspetto, ugualmente connesso agli altri, è la lotta alla povertà, che vede le
donne sempre tra le prime vittime. “In vaste aree del mondo – ha indicato mons. Auza
– la mancanza di cibo consistente e nutriente, di servizi idrici e igienico-sanitari
puliti, così come la mancanza di opportunità di lavoro e di retribuzioni dignitose
continuano a minare la capacità delle donne di svolgere il loro ruolo nella vita delle
proprie famiglie e nella società nel suo complesso”. “Con così tanto denaro disponibile
per le armi – si è chiesto l’osservatore pontificio – non può il mondo risparmiare
risorse per compensare la perdita di vita e l'incolumità fisica delle famiglie e delle
case di queste vittime innocenti, per aiutarle a superare le devastazioni del conflitto
e consentire loro di diventare operatrici di pace?”.
Giustizia e dignità
La “morsa dei cinquanta conflitti che infuriano in diverse parti del mondo ci chiama
oggi – ha ribadito mons. Auza in conclusione – a concentrare i nostri sforzi sulla
condizione delle donne e delle ragazze nelle situazioni di violenza”. Vanno aiutate
a “chiedere giustizia” e anche a “superare lo stigma e la vergogna cui sono sottoposte
in certe società”. Altrimenti sarà “molto più difficile per le donne sostenere la
famiglia e assistere i familiari mutilati dalla violenza, se le loro ferite non saranno
affrontate e le ingiustizie subite risolte” (A cura di Alessandro De Carolis).
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