2016-11-05 15:09:00

Caso Tiziana Cantone. Padula: serve processo educativo sui social


Facebook doveva rimuovere dalle proprie pagine i commenti offensivi e i link ai filmati privati della giovane Tiziana Cantone, che hanno portato in seguito la trentunenne napoletana a togliersi la vita. Lo ha stabilito il Tribunale civile di Napoli Nord rigettando la posizione dell’azienda statunitense, che si è appellata alla necessità di un provvedimento dell’autorità giudiziaria per rimuovere i contenuti e dando ragione alla madre di Tiziana, ordinando per di più all’impresa di effettuare, in futuro, maggiori controlli sui contenuti. “Accogliamo la decisione”, ha dichiarato un portavoce di Facebook: “Siamo profondamente addolorati per la tragica morte della ragazza e confermiamo l’impegno di lavorare con le autorità locali”. Ma quali sono le mancanze che la magistratura attribuisce a Facebook, e quali le responsabilità sociali che gravano sul colosso americano? Francesco Gnagni lo ha chiesto a Massimiliano Padula, presidente di Aiart, Associazione Italiana Telespettatori, sociologo e esperto di media e comunicazione:

R. – Le colpe sono sostanzialmente quelle di aver diffuso in maniera virale - e quindi attraverso molteplici pagine sul noto social network - delle immagini o dei contenuti parodistici e sarcastici relativi alla vicenda di Tiziana Cantone e soprattutto al video virale diffuso in Rete.

D. – Siamo al solito discorso sui limiti della libertà di espressione. Serve, forse, una riflessione etica da parte dell’azienda americana e anche del web in generale?

R. – Credo che serva una riflessione etica! Credo che Facebook, come tutti i colossi dell’Information Technology, del Web e della cultura digitale, debba in un certo senso autoeducarsi e quindi porre al primo posto la dignità della persona, l’attenzione e la cura ai contenuti anche se – nello stesso tempo – l’infinitezza, l’enorme disponibilità e la profondità dei contenuti veicolati dal Web e dal digitale impediscono una regolamentazione e un processo di formalizzazione educativa che sia veramente efficace.

D. – E’ pensabile una legge che richiami direttamente la responsabilità degli utenti, per esempio fornendo i propri dati; oppure la via normativa non è quella preferibile, non è la principale?

R. – In relazione alla giurisprudenza, credo – ad esempio – che il Tribunale di Napoli abbia dato un segnale importante: quindi la giurisprudenza si è assunta una responsabilità educativa con questa sentenza. Allo stesso tempo, però, ho dei dubbi su un processo di regolamentazione che coinvolga colossi del digitale come Facebook, proprio perché la trasgressione è dietro l’angolo: se non è su Facebook sarà su un’altra piattaforma digitale, sarà attraverso altri spazi online. Quindi credo che sia importante, anzitutto, un processo educativo integrale, che non sia esclusivamente legato all’utilizzo, al postare o alle espressioni sui social, ma che comporti criteri, variabili e paradigmi come l’educazione al giusto, alla legalità, alla responsabilità, all’intelligenza, al bene comune e alla dignità della persona.

D.- Potrebbe esserci un modo per farsi carico in positivo, da parte di Facebook, di determinati valori?

R. – Io credo di sì. L’auspicio è che Facebook possa porre all’attenzione dell’opinione pubblica una sorta di presa di coscienza su delle problematiche che sono presenti all’interno dei suoi spazi: tra tutte mi vengono in mente i modelli e i casi delle cosiddette “pagine fogna”, di cui “welcome to favelas” in Italia ne è un esempio, con centinaia di migliaia di seguaci… Quindi pagine che tendono, in un certo senso, a snaturare la dignità della persona, a metterla in ridicolo e a porre modelli di comportamento - attraverso immagini, attraverso video, attraverso contenuti – che certamente non rispettano, appunto, la persona e l’individuo.








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