2016-11-06 08:00:00

Myanmar a un anno dal voto che ha cambiato la storia del Paese


Un anno fa, l’8 novembre del 2015, si sono tenute le prime elezioni libere in Myanmar. La spinta democratica impressa dalla leader e premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, sta cambiando il volto del Paese, anche se proseguono tensioni e scontri in varie parti del territorio legate soprattutto alla questione delle minoranze. Massimiliano Menichetti ha intervistato Carlo Ferrari, presidente dell’Associazione per l’amicizia Italia-Birmania “Giuseppe Malpeli”:

R. – Il Myanmar è un conglomerato di tante etnie; si parla di oltre 130 etnie. Il discorso sui conflitti etnici che ancora permangono in diverse regioni ha delle radici storiche. Durante i sessanta anni di dittatura, fomentare le divisioni etniche è stato uno dei modi in cui il governo dei militari ha mantenuto il potere.

D. - Il governo attuale è impegnato nella pacificazione. A fine agosto si è tenuta la grande conferenza per la pace salutata con favore anche dal segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon …

R. - Ad agosto la nuova conferenza di Panglong ha portato avanti la discussione mettendo tutte le principali etnie attorno ad un tavolo con l’obiettivo di cambiare la Costituzione in senso democratico. Chiaramente in questo momento ci sono diverse valutazioni: da un lato il governo dall’altro l’esercito che è stato una forza fondamentale in Birmania che ancora ha il controllo della situazione soprattutto nelle zone di conflitto etnico ai confini con il Bangladesh e con la Cina. Il governo ha chiaramente espresso la sua volontà assoluta di portare avanti un cammino di riconciliazione nazionale nel senso della non violenza. Tutti i passi, dalla liberazione dei prigionieri politici che è seguita immediatamente alla proclamazione del nuovo governo, alla conferenza di Panglong, ai progetti di legge per la riconciliazione, alla convivenza pacifica delle religioni all’interno stanno andando in questa direzione. Ma non dobbiamo nascondere che il governo sta operando in situazioni direi quasi di emergenza, soprattutto in queste aree etniche.

D. - Proprio su questo punto: nel Paese sono presenti circa 15 formazioni paramilitari attive. Quanto tempo ci vorrà per questo grande importante processo di pacificazione?

R. - Credo che processi di pacificazione di questa portata si misurino in anni; c’è il problema delle armi, quello delle forniture delle armi, c’è un discorso legato alla produzione e alla commercializzazione di sostanze stupefacenti che vengono coltivate in alcune di queste aree. Ci sono interessi piuttosto forti in atto. Noi dobbiamo partire dal concetto che in ballo in Myanmar, in Birmania, si è realizzata una cosa che non ha quasi precedenti nella storia dell’umanità: un intero popolo è uscito da una dittatura feroce durata 60 anni tramite delle votazioni!

D. - Lo ha anticipato lei, l’8 novembre dell’anno scorso si sono tenute le prime elezioni libere in Myanmar. A distanza di un anno, quali sono i cambiamenti più evidenti?

R. - Per rispondere a questa domanda ho la possibilità di citare il cardinale Charles Maung Bo che in questi giorni è in Italia e che ha celebrato a Parma, lo scorso 28 ottobre, una Messa a suffragio del nostro presidente Giuseppe Malpeli. Nella sua omelia ha fatto esplicito riferimento a quelli che sono i cambiamenti che il Paese sta vedendo: c’è più libertà, più comunicazione. Anche per quanto riguarda la scuola c’è una grande attenzione al miglioramento delle condizioni delle scuole, alle nomine degli insegnanti che erano assolutamente deficitarie rispetto al numero degli studenti. C’è dialogo con le etnie sulle religioni. Questi sono elementi concreti.








All the contents on this site are copyrighted ©.