E’ stato presentato a Roma il film di Anne Fontaine, “Agnus Dei”, che sarà in sala dal 17 novembre, ispirato alla vera storia di sette monache stuprate nel 1945 dai soldati sovietici in un monastero della Polonia. Il confronto è tra la fede e la scienza, ma dal loro dialogo è tutelata la vita.Il servizio di Luca Pellegrini:
Durante il canto delle Lodi mattutine, le suore di una comunità benedettina nella Polonia da poco liberata - siamo nel 1945 -, rimangono immobili, anche se l'angoscia le assale. «E' la fine della guerra - precisa poco dopo suor Maria - ma non è la fine della paura». I nazisti se ne sono andati lasciando macerie, i sovietici sono arrivati provocandone altre, nei corpi delle donne. 'Agnus Dei' è un film intenso e vigoroso che Anne Fontaine ha girato avendo intercettato la vera storia di Madeleine Pauliac - conservata in alcuni suoi appunti -, medico ufficiale delle Forze Interne Francesi nominata nell'aprile del 1945 Primario all'Ospedale francese di Varsavia e in forza alla Croce Rossa. In queste circostanze ebbe modo di scoprire l'orrore degli stupri sistematicamente perpetrati dai sovietici, che non avevano risparmiato di abusare per giorni anche di quelle monache, lasciandone sette incinte. La regista, con squisita sensibilità femminile e assoluto rispetto per un tema così forte e doloroso si mette a lato della dottoressa conservandone lo stupore e l'angoscia, perché la Madre superiora vorrebbe occultare la verità per proteggere la comunità, ma alle donne non possono essere negate le cure mediche e la futura maternità, che verrà portata a termine.
Incontrando la regista francese, le si chiede come è entrata in contatto con questo episodio della storia del ‘900.
R. - On a fait tout un travail bien sûr de recherche…
Abbiamo fatto un lavoro certamente di ricerca, di approfondimento dei personaggi,
della storia, semplicemente, anche se c’era già questo percorso-sentiero di questo
incontro, noi crediamo, tra il mondo laico, incarnato da questa giovane dottoressa
– e questo è stato interessante da approfondire – e il mondo della fede, il mistero
del mondo della fede. Dunque, questo incontro mi sembrava molto forte perché mi è
sembrato parlare a tutti, perché sono due fedi che si incontrano: una fede nella vita,
e questo mi è parso un tema estremamente profondo e complesso, umanamente.
D. - Si è appoggiata anche ad una esperienza personale nell’ambito religioso?
R. - Naturellement, je me suis rapprochée de l’experience…
Naturalmente mi sono avvicinata all’esperienza di comunità, sono stata dai benedettini,
dai religiosi benedettini per fare anch’io un ritiro per comprendere un po’ da dentro
come si articolasse la vita in comunità. Lì ho incontrato delle persone: donne, uomini,
anche, dei preti, e ho parlato con loro del tema ed erano molto sconvolti da questo
tema: queste donne religiose che hanno fatto voto di castità e che soprattutto non
hanno un rapporto con la maternità, un rapporto attivo, concreto, alla maternità.
Dunque sono rimaste subito molto colpite, mi hanno parlato e quindi c’è stato uno
scambio. Più concretamente, il canto latino, la maniera in cui le suore cantano,
la scelta dei canti, l’ho fatta con un monaco che si chiama Jean-Pierre Longeat, che
è un monaco benedettino che dirigeva l’Abbaye Saint-Martin de Ligugé e dunque ha avuto
questa collaborazione artistica, in qualche modo più artistica.
D. - Quali sono state le reazioni delle comunità religiose alla proiezione del film?
R. - Ecoutez, je ne peux pas dire de communauté en général…
Non posso parlare delle comunità in generale, non ho fatto il film per le comunità.
Ma ho visto più volte tra gli spettatori ai quali è stato presentato il film suore
e religiosi, c’è stato un vescovo francese che ha scritto un pezzo molto bello sul
film. Penso che siano stati particolarmente toccati dal fatto che una tale storia
sia capitata a questa comunità ed è impossibile restare insensibili. Allo stesso tempo,
quello che è terribile è che è stata tenuta segreta, completamente dimenticata e ignorata
dalla Chiesa polacca.
D. - In fondo, il suo film rispetta tutti i punti di vista, quello delle religiose e quello della scienza. Auspicandone il dialogo per la tutela della vita.
R. - Je pense qu’il faut pas donner de réponse pour rassurer…
Penso che non bisogna dare delle risposte per rassicurare, ma dare voce. Sarebbe troppo
crudele se non ci fosse l’idea del superamento, l’idea che ci si può avvicinare e
che due mondi possano avvicinarsi e che non ci sia un’impermeabilità violenta tra
il mondo laico e il mondo spirituale: c’è un attraversare insieme, perché è la condizione
umana. Queste donne che sono abbandonate a loro stesse daranno la vita senza essere
preparate un secondo a essere madri, dunque è il rapporto con la maternità, molto
forte in questa storia, è il rapporto essenziale nella vita di una donna. Dunque
il tema è come ci si possa riappropriare della vita malgrado aver subito una violenza
di una crudeltà barbara: sono domande e sono inizi di risposte, sarebbe presuntuoso
e ingenuo dare risposte confezionate.
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