2016-11-09 13:55:00

Signis: 65 anni a servizio dei media nelle zone missionarie


Portare la parola di Dio attraverso la comunicazione in oltre 140 Paesi nel mondo, toccando cosi, ogni angolo della terra. E’ questo l’obiettivo di Signis l’Organizzazione Mondiale per i Media e la comunicazione che questa mattina a Roma, a palazzo di San Callisto,  ha celebrato con un incontro i 65 anni di attività, dove ha ripercorso le varie tappe della sua storia e presentato nuove prospettive. Ascoltiamo il servizio di Marina Tomarro:

257 progetti pastorali sulla comunicazione in oltre 20 Paesi nel mondo solo nel 2015, più di 40 radio e tv locali lanciate in Africa negli ultimi 10 anni. E’ grande l’impegno di Signis, l’Organizzazione Mondiale per i Media, per promuovere nei popoli attraverso la comunicazione, la dignità umana la giustizia e la riconciliazione alla luce del Vangelo. Ascoltiamo la testimonianza di padre Fabrizio Colombo direttore dell’organizzazione:

R. – Questa missione è quella di aiutare il mondo missionario e il mondo dei media cattolici a fare il proprio dovere: proclamare e annunciare la Buona Notizia e il Vangelo, soprattutto a favore dei più poveri, dei più abbandonati, per la dignità. Il motto di Signis è i “Media per la pace-Media for peace”. 65 anni per confermare che questa missione è ancora vera, è ancora lì. E noi siamo lì con le nuove tecnologie ovviamente, e - distribuendo media un po’ in tutto il mondo – vogliamo sostenere e accompagnare i media, in particolare nelle zone missionarie, ad essere veramente effettivi: una comunicazione cioè che possa anche cambiare la vita delle persone.

D. – Uno dei vostri obiettivi è proprio quello di raccontare storie di speranza. Ma cosa vuol dire? Quali sono queste storie di speranza?

R. – Le storie di speranza sono tutte quelle storie che vengono raccontate dai media missionari. Quando si parla - ad esempio - dell’Africa, si ha sempre una visione molto pessimista:  l’Africa dei problemi, delle guerre, della corruzione… I media cattolici sono più positivi: quindi raccontano di testimonianze di cristiani che danno la vita, che si impegnano per la pace, per i diritti umani. Queste sono le storie di speranza che generano ovviamente altri testimoni e che danno speranza in un mondo in cui regna purtroppo la paura e il terrore. I media cattolici possono essere, invece, i promotori della speranza e anche della gioia in questo tempo di crisi.

D. – Come è cambiato il modo di comunicare l’evangelizzazione?

R. – Uno dei nostri impegni è proprio quello di guidare, anche a livello pastorale, i media missionari perché capiscano la convergenza: oggi il modo di comunicare è diventato multimediale e molto spesso ci confrontiamo con radio a cui diciamo “No. Dovete, allo stesso tempo, curare il nostro sito internet, creare delle produzioni multimediali, dei video da mettere sul vostro canale Youtube”… Capire che quando si fa comunicazione oggi bisogna farla multipiattaforma è importante. Seconda cosa: il mondo dei giovani è ormai digitale, è ormai concentrato sugli smartphone, sui tablet e questo in qualsiasi parte del mondo. Quindi l’uso dei social è importante. E questo è uno dei grandi cambiamenti che sono alla base anche delle nostre formazioni, che facciamo ai vescovi, ai seminaristi, per capire che comunicare è importante, che comunicare è missione e che comunicare la Buona Notizia deve oggi andare su tutte le piattaforme.

D. – Lei è un missionario della comunicazione. C’è qualcuna delle sue esperienze che le è rimasta particolarmente nel cuore?

R. – Sì! Io ho vissuto nove anni in Ciad, dove sono stato direttore del Centro Audiovisivi in una diocesi del sud e poi per cinque anni direttore della radio cattolica: la mia esperienza lì è stata forte, perché abbiamo scelto di dire la verità e difendere i più poveri. Quando ovviamente abbiamo toccato certi potenti – dai militari alla Polizia, a certi politici corrotti.. – prima ci hanno bruciato tutto, poi abbiamo avuto le minacce di arresti… Però questo non ha smosso niente! Il giorno in cui – racconto un piccolo aneddoto – sono dovuto andare a presentarmi comunque alla Polizia, ero scortato dalla popolazione intera della città: c’erano cattolici, c’erano musulmani, c’erano le Ong, c’erano varie istituzioni dei diritti umani. Lì mi sono accorto che effettivamente la nostra radio faceva il suo dovere: quello cioè di difendere gli ultimi e di stare dalla parte dei poveri. E credo sia questo il seme e il centro del Vangelo.








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