2016-11-12 14:49:00

Chiesa, medici e scienziati: più risorse per chi soffre nel silenzio


La cura per le malattie rare e le cosiddette “malattie tropicali neglette” – che colpiscono molte persone nei Paesi più poveri e che spesso sono trascurate dalla ricerca – passa attraverso prevenzione, investimenti regolari e a un maggior coinvolgimento dei pazienti e delle loro famiglie alle terapie. Queste alcune delle raccomandazioni emerse al termine della XXXI Conferenza internazionale del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, conclusa oggi in Vaticano. I dettagli nel servizio di Michele Raviart:

Il primo punto è quello della prevenzione. La diagnosi per una malattia rara è spesso molto lunga, quando basterebbe una sola goccia di sangue per avere uno screening genetico in grado di rilevare eventuali patologie e valutare se è possibile utilizzare farmaci già esistenti, ma adatti allo specifico dna del paziente. Spiega il prof. Giuseppe Novelli, genetista e rettore dell’Università di Tor Vergata di Roma:

"Le nuove tecnologie hanno aperto un mondo che prima non era possibile: quello di analizzare tutto il dna di una persona affetta da una malattia rara di cui non si sapeva assolutamente niente. Attraverso il genoma noi possiamo trovare dei farmaci che prima non avevamo ma senza aspettare di scoprirli, perché – come è stato detto – per far scoprire un farmaco ci vogliono 15 anni, ma se abbiamo un farmaco che ci salva per una cosa lo possiamo usare anche per un’altra".

Grandi sono le differenze tra Nord e Sud del mondo. Malattie come l’Aids raccolgono più fondi perché toccano i Paesi occidentali, mentre altre, come la lebbra sono trascurate e in pericolosa ascesa in Africa. Chiara è la correlazione tra patologie e contesto socio-economico. Il prof. Mario Angi, presidente dell’Ong Christian Blind Mission:

"Nella conferenza è emersa l’importanza e il peso delle malattie rare e delle malattie neglette che riguardano in realtà un miliardo e 400 milioni di persone. Quindi non sono assolutamente rare e non sono assolutamente minoritarie nel panorama dell’umanità. È emersa l’interazione fra genetica, ambiente e il contesto di povertà: crescono e si moltiplicano queste alterazioni genetiche che creano fino ad ottomila diverse specie di malattie rare".

Essenziale è poi la formazione di un personale sanitario competente e che sappia almeno indirizzare il paziente verso i centri specializzati più idonei. Prassi ordinaria deve essere quella di coinvolgere il malato nella scelta delle terapie e sostenere le famiglie, sia dal punto di vista psicologico sia logistico, visto che alcuni pazienti sono costretti anche a cambiare Paese per ricevere le cure più adatte. “Buone pratiche”, come gli esempi presentati da padre Michele Aramini, docente di teologia all’Univesità cattolica del Sacro Cuore:

"Uno è quello che riguarda la malaria, per la quale il numero di farmaci disponibili era progressivamente scemato; un impegno particolare nella ricerca ha portato ad avere nuovi strumenti farmacologici. Lo stesso vale per la tubercolosi in Paesi come il Brasile o altri dell’America Latina; poi abbiamo avuto invece il caso eclatante di Taiwan che, nel giro di venti anni, ha fatto un balzo in avanti enorme nella lotta alle malattie rare dotandosi di un sistema che parte da una legislazione, un finanziamento a una produzione di centri di riferimento, ad uno screening, ad un aiuto alle famiglie, alla ricerca e all’incoraggiamento addirittura di una nuova classe di medici che si occupino delle malattie rare".

L’obiettivo è quello di fornire cure a chi ne ha bisogno, con finanziamenti pubblici più regolari e con l’idea di investire obbligatoriamente in ricerca una percentuale dei ricavi delle industrie farmaceutiche. Il rischio è poi che per ragioni politiche ed economiche alcuni Paesi riducano i loro contributi. In questo senso il ruolo della Chiesa diventa fondamentale per far convergere tutti gli operatori del settore e metterli in comunicazione fra loro. Mons. Jean-Marie Mupendawatu, segretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari:

"C’è anche una preoccupazione perché i tre Paesi che hanno dato maggiore contributo per queste malattie neglette, ad esempio, sono stati l’Inghilterra, la Germania e gli Stati Uniti. Con la Brexit e tutto quello che succede nel mondo siamo un po’ preoccupati; molti di coloro che sono venuti qui chiedono alla Chiesa questa leadership, questa anima, questo cuore che è specifico della Chiesa, dove molti possono stare insieme per moltiplicare le forze. La Chiesa deve lavorare per educare ad una cultura della salute. Non c’è missione, evangelizzazione, promozione allo sviluppo dei popoli, se manca anche l’assistenza e la cura agli infermi".

L’ultimo appello è rivolto ai media, che dovrebbero affrontare questi temi più spesso e in maniera più approfondita.








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