2016-11-14 13:58:00

Cism: religiosi tornino a scaldare i cuori della gente


Al via oggi a Rimini l’Assemblea generale della Cism, la Conferenza italiana Superiori maggiori, organismo che coordina le esperienze delle congregazioni religiose del Paese. Al centro dei lavori, la riorganizzazione delle Province, dato il costante calo delle vocazioni e l’invecchiamento dei consacrati, con la conseguente chiusura di molti conventi. Ma qual è la ragione più profonda di questa assemblea? Fabio Colagrande lo ha chiesto al padre carmelitano scalzo Luigi Gaetani, presidente della Cism:

R. - La ragione più profonda è il bisogno di capire dove nasce e dove porta questa riorganizzazione e soprattutto verso quali prospettive ecclesiali e di relazioni nuove può condurre la vita consacrata in Italia. Credo che possiamo ritenere questa come la ragione più profonda della nostra scelta: vogliamo che la riorganizzazione non sia solo un’ideologia di cambiamento - un cambiamento che fondamentalmente rientra in un’operazione interna, in un riordino delle risorse umane, delle opere, con tutto ciò che comporta - ma invece vogliamo vivere questa assemblea nella prospettiva indicata da Papa Francesco: quella della riforma della Chiesa. Se manca questo, tutto il processo del rinnovamento rischia di essere solo autoreferenziale. La riforma è una riforma che esige un processo spirituale.

D. - Il tema della riorganizzazione delle Province è legato a quello delle vocazioni, dell’invecchiamento e della riduzione dei consacrati?

R. - È sotto gli occhi di tutti il fatto che ci sia questa situazione – calo di vocazioni, invecchiamento dei nostri religiosi - però, noi negli anni abbiamo affrontato tutta una serie di riorganizzazioni interne e abbiamo creduto in una o nell’altra circostanza che il rinnovamento della vita religiosa passasse attraverso la modifica di qualche settore. Abbiamo constatato che questo non ha portato a grandi cambiamenti e per questo torno a sottolineare che quanto Papa Francesco ci sta dicendo va invece al cuore della vera riforma che ognuno di noi deve adottare per potere effettivamente vivere questo tempo che ci è dato come una risposta alle esigenze dello Spirito, del Vangelo e anche alle esigenze del popolo di Dio a cui noi siamo mandati.

D. - In questo senso possiamo leggere questa crisi come un’occasione preziosa per adeguare i carismi degli istituti religiosi alle nuove necessità che la Chiesa incontra?

R. - Direi di sì, però non parlerei di adeguamento dei carismi: c’è una riviviscenza dei carismi; questa significa dare vita, perché il carisma è un dono dello Spirito e lo Spirito non è mai morto; lo Spirito Santo, che dona i carismi alla sua Chiesa, la rende bella. Questo non vuol dire che i carismi durino in eterno, ma possiamo dire – e la storia della Chiesa ce lo conferma – che i carismi invece hanno una riviviscenza che consiste in questo: fino a quando dentro un istituto religioso i soggetti che lo costituiscono restano aperti all’azione dello Spirito, quel carisma può rivivere, può ritornare veramente a riscaldare il cuore e la mente della gente; può essere ancora effettivamente un dono che brilla per la bellezza della  Chiesa e dell’umanità.

D. - La ristrutturazione della presenza territoriale, che è un po’ implicita in questo processo, comporta in qualche modo anche il rischio di dimenticarsi di alcune “periferie”, per usare il gergo di Papa Francesco?

R. - Che la riorganizzazione diventi centralizzazione dimenticando appunto il radicamento sul territorio e l’opzione delle periferie è la nostra preoccupazione. Non a caso la vita consacrata è stata sempre molto attenta sia alle grandi città, dove ha posto significative presenze, ma anche alle periferie dove nessuno voleva andare. La vita consacrata e i religiosi hanno rappresentato realmente una presenza profetica in quei luoghi. Oggi la nostra preoccupazione è che la riorganizzazione non spopoli le periferie di questa presenza, di questa testimonianza, di questa bellezza; periferie geografiche, come dice Papa Francesco, ma anche periferie esistenziali. E per questo la riforma non può essere pensata solo come un movimento di facciata, cioè ‘ci facciamo più belli’. Non è un movimento estetico: è un movimento che ci deve portare al cuore dell’umanità per rispondere alle necessità dell’umano.








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