2016-11-16 14:51:00

Marazziti: grati a Francesco, non c'è pena giusta senza speranza


Si è svolto oggi alla Camera dei Deputati l’incontro organizzato dal Cortile dei Gentili dal titolo “Pena e speranza. Carceri, riabilitazione, esecuzione della pena, riforme possibili”. Deputati e senatori, assieme alla Comunità di Sant’Egidio e a testimoni ed esperti, hanno formulato proposte e suggerimenti su reinserimento e riabilitazione dei detenuti nella società, raccogliendo l’invito fatto da Papa Francesco durante il Giubileo dei Carcerati. Ma in che stato versano le carceri italiane? Francesco Gnagni ne ha parlato con uno dei relatori dell’incontro, l’on. Mario Marazziti, presidente della Commissione Affari Sociali della Camera:

R. – Stiamo tornando alla fisiologia, perché eravamo a 64mila detenuti con 46mila posti solo tre anni fa. Oggi, con l’azione del parlamento e del governo, siamo a 54mila persone con 50mila posti; ma c’è moltissimo da fare perché il diritto alla salute non è sicuramente garantito in maniera uguale, paritaria, rispetto a quello degli altri italiani e perché in realtà all’interno del carcere troviamo condizioni di ozio forzato per circa 40mila persone, in quanto le misure alternative e il lavoro in carcere riguardano ancora una minoranza. Ci sono poi due problemi giganteschi. Per rispondere all’appello di Papa Francesco - per una pena capace sempre di dare speranza – uno dei due problemi riguarda la presenza di 1500 persone circa condannate ad un ergastolo senza speranza di benefici, quindi un "fine pena mai"; l’altro problema è quello di immaginare di nuovo l’intera esecuzione della pena come un’occasione di comprensione del problema all’interno di una logica di giustizia riparatrice e come una possibilità di ricominciare a imparare a reinserirsi nella società.

D. - Il ministro Orlando, alcune settimane fa, ha espresso dubbi sulla possibilità di un’amnistia. Quali sono invece secondo lei nell’immediato le prime riforme possibili sul tema?

R. - Ho presentato un progetto di legge per l’amnistia-indulto che riguarda solo i reati di minore allarme sociale, ma che introduce un concetto che, se ascoltato, potrebbe sbloccare la situazione. C'è il fatto che l’amnistia da molti è temuta perché aprirebbe ad un principio della non certezza della pena, cioè dello sconto imprevisto, effetto indesiderato. Ma prima di tutto bisogna ricordare che da moltissimi anni non c’è un’amnistia e che l’amnistia in un carcere che ritrova la sua fisiologia - quindi l’amnistia non più solo come strumento temporaneo “svuota carceri”, come è stato in passato - diventerebbe uno strumento anticipato di esecuzione della pena già con il reinserimento sociale accompagnato. Quindi un elemento di maggiore sicurezza per il Paese e un elemento di inizio di un sistema carcerario non più disfunzionale come quello che fino ad oggi produce due recidivi su tre tra chi sconta la pena.

D. - L’invito che il Santo Padre ha fatto celebrando il Giubileo dei carcerati, dal suo punto di vista, è riuscito a scuotere la politica italiana?

R. - Sono molto grato a Papa Francesco, prima di tutto perché parla al cuore di tutti noi. Quando lui dice: “Ogni volta che entro in un carcere, mi chiedo sempre: perché lui e non io?”, si apre ad un mondo che non è bianco e nero, dove ognuno di noi fa i conti con se stesso, dove l’altro non è un mostro. È  un mistero all’interno del quale dobbiamo entrare. Poi ci ha ricordato che non esiste pena giusta che non contiene in sé la possibilità di riabilitazione e l’obiettivo della riabilitazione, quindi la speranza. Credo che questo sia già un grande regalo al mondo, all’Italia e ai politici italiani, ma penso che dobbiamo fare quello che oggi ci siamo detti in questo incontro con il cardinale Ravasi e con il Cortile del Gentili. C’è chi sta ascoltando l’appello del Papa: oggi 787 condannati a Cuba hanno visto cancellata la loro sentenza da un provvedimento di clemenza e amnistia, più di duemila condannati a morte in Kenya, due settimane fa, hanno visto commutata la loro sentenza in pena detentiva. Ci sono altri che stanno ascoltando prima di noi: dobbiamo affiancarci a loro.








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