La Chiesa è il Vangelo, non “un cammino di idee” e uno “strumento” per affermarle, né una “squadra di calcio” che cerca tifosi. È l’opera di Cristo che ci porta a servire i poveri, che sono la Sua carne. Così Papa Francesco nell’intervista di Stefania Falasca sulle colonne di “Avvenire” in cui, a conclusione del Giubileo della Misericordia, esorta a “camminare insieme” sulla via dell’ecumenismo. Il servizio di Giada Aquilino:
Ecumenismo, cammino che viene da lontano
L’unità dei cristiani “si fa su tre strade”: camminando insieme “con le opere di carità”,
pregando insieme e riconoscendo la “confessione comune” così come si esprime nel “comune
martirio” ricevuto nel nome di Cristo, nell’“ecumenismo del sangue”. Papa Francesco
parla di un cammino che “viene da lontano”, maturato dal Concilio e dal lavoro dei
suoi predecessori, a cui – afferma – Jorge Mario Bergoglio non ha dato alcuna “accelerazione”:
si è “semplicemente” lasciato guidare dallo Spirito Santo. E non gli “toglie il sonno”
chi pensa che negli incontri ecumenici voglia “svendere” la dottrina cattolica.
La Chiesa è il Vangelo, autoreferenzialità è cancro
D’altra parte la Chiesa “è il Vangelo”, è l’opera di Gesù Cristo, cresce “per attrazione”
e non per proselitismo, non è “una squadra di calcio che cerca tifosi”, né “un cammino
di idee” e uno “strumento” per affermarle. Quando a prevalere è la tentazione di costruire
una Chiesa “autoreferenziale”, che invece di guardare Cristo “guarda troppo se stessa”,
sopraggiungono contrapposizioni e divisioni: il “cancro nella Chiesa” è il darsi gloria
“l’un l’altro”. La Chiesa non ha “luce propria”, “esiste” solo come strumento per
comunicare agli uomini il disegno misericordioso di Dio.
Discernere nel flusso della vita
Al Concilio, prosegue, la Chiesa ha sentito “la responsabilità di essere nel mondo
come segno vivo dell’amore del Padre”, risalendo “alle sorgenti della sua natura,
al Vangelo”. Questo sposta l'asse della concezione cristiana “da un certo legalismo,
che può essere ideologico, alla Persona di Dio che si è fatto misericordia nell'incarnazione
del Figlio”. Alcuni – pensa a certe repliche ad Amoris Laetitia, secondo Stefania
Falasca – “continuano a non comprendere, o bianco o nero, anche se è nel flusso della
vita che si deve discernere”. Il Vaticano II ce lo ha detto, ma secondo gli storici
- ricorda il Papa - un Concilio per essere “assorbito bene dal corpo della Chiesa”
ha bisogno di un secolo: siamo “a metà”, constata.
Il Giubileo della Misericordia
Con l’Anno Santo della Misericordia, che sta per chiudersi, il Papa spera che “tante
persone” abbiano scoperto di essere molto amate dal Signore, ricordando che amore
di Dio e amore del prossimo sono “inseparabili”: “servire i poveri - spiega - vuol
dire servire Cristo, perché i poveri sono la carne di Cristo”. Non vede invece i tanti
recenti incontri ecumenici come un frutto esclusivo del Giubileo: sono “solo passi
in più” lungo un cammino iniziato da tempo, cinquant’anni fa, quando lo spirito del
Vaticano II ha fatto riscoprire “la fratellanza cristiana basata sull’unico Battesimo
e sulla stessa fede in Cristo”.
Gli incontri ecumenici
Gli incontri e i viaggi, assicura, “aiutano” in tale direzione. Ricorda il viaggio
a Lesbo, con il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e l’arcivescovo
di Atene e tutta la Grecia Ieronymos: “ci siamo sentiti una cosa sola”, racconta.
Poi rivive la “profonda” sintonia spirituale provata nell’incontro col Patriarca Ilia
in Georgia. Cita i momenti con i Patriarchi copto Tawadros e Daniele di Romania. E
vede nel Patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill “un uomo di preghiera”. Con
i fratelli ortodossi, prosegue, “siamo in cammino, sono fratelli, ci amiamo, ci preoccupiamo
insieme”. Nell’incontro a Lund con i luterani, per l’avvio dell’anno commemorativo
del 500° anniversario della Riforma, evidenzia di aver ripetuto le parole di Gesù:
“Senza di me non potete fare nulla”. Un evento, quello in Svezia, che nelle parole
del Papa “è stato un passo avanti per far comprendere lo scandalo della divisione”,
che va “superato” con gesti “di unità e di fratellanza”. È un cammino, ripete: “richiede
pazienza” nel custodire e migliorare quanto già esiste che – conclude – “è molto più
di ciò che divide”.
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