2016-11-20 08:30:00

Giornata pace Congo. Francesco: promuovere cultura del dialogo


La Conferenza Episcopale (Cenco) ha indetto per questa domenica 20 novembre la Giornata Nazionale di preghiera per la pace e la riconciliazione nella Repubblica Democratica del Congo. Il Paese africano affronta una situazione di insicurezza sociale, oltre che politica, di cui ne fa drammaticamente le spese la popolazione civile. Ad incoraggiare la pace nel Paese è anche Papa Francesco che ha ribadito, con un messaggio ai vescovi, il suo invito alla costruzione di ponti, e non di muri. Dal Papa l'esortazione a stabilitre "nella società congolese una cultura del dialogo" e l'invito ai leader ad un impegno "coraggioso per il bene comune" che metta da parte "gli interessi personali". Sulla difficile situazione che sta vivendo il Congo, Sabrina Spagnoli ha intervistato Enrico Casale diella rivista "Africa":

R.  – La situazione politica della Repubblica Democratica del Congo è particolarmente delicata in questo momento. Il presidente Joseph Kabila ha fatto trasparire la volontà di ricandidarsi o comunque di rimanere al potere. La maggior parte dell’opposizione ha contestato questa sua volontà e si sta organizzando per resistere. Una parte dell’opposizione ha stretto un rapporto con il presidente, un rapporto che dovrebbe portare ad un governo di unità nazionale, almeno di unità nazionale parziale. Questo però crea forti instabilità nel Paese. Un Paese che ha già dei grossi problemi, soprattutto nelle regioni orientali; pensiamo alle regioni che confinano con il Ruanda, con il Kivu, il Beni, che non sono mai state pacificate negli ultimi anni. Quindi che cosa fare per la popolazione… Innanzitutto servirebbe una pacificazione nazionale politica con un sistema politico democratico che consenta l’alternanza al potere. Questa è la condizione base per la ripresa della Repubblica Democratica del Congo.

D.  – Nella zona orientale del Paese non ci sono più scontri o manifestazioni violente, tuttavia vi è la presenza di bande armate o ex militari che effettuano comunque incursioni con relativi massacri di civili. Cosa spinge a perpetrare tali atti criminosi?

R. – La regione orientale è una delle zone più ricche al mondo perché nel sottosuolo ci sono oro, diamanti, minerali rari e quindi è una regione che fa gola a molti, non solo gli Stati confinanti ma anche a molte multinazionali che gestiscono le miniere o sfruttano queste miniere. Di conseguenza tutto questo crea una forte instabilità sia nel Kivu ma anche nel Beni. A queste ragioni, ultimamente se ne sono aggiunte altre, quelle di carattere interreligioso. Nel Beni è attiva una milizia che si chiama ADF che si ispira ai principi del jihadismo islamico e ha compiuto negli ultimi due anni delle stragi soprattutto tra la popolazione civile.

D. – Kabila ha sempre intrapreso la via del silenzio per evitare colpi di Stato, quali problematiche comporta adottare una simile prassi?

R. – Per quanto riguarda Joseph Kabila si capisce che vuole rimanere al potere, tanto è vero che ha messo in atto anche tutta una strategia che mira a questo; penso soprattutto alla sentenza interpretativa che gli dà il potere di rimanere in carica qualora non ci fossero nuove elezioni. Questo vorrebbe dire che Kabila rimarrebbe al potere almeno fino al 2018. Questo crea tensione, soprattutto nei confronti dell’opposizione, che negli ultimi tempi ha affermato più volte di non accettare una soluzione di questo tipo e l’unica soluzione accettabile è quella delle elezioni, di tornare alle urne per eleggere il nuovo presidente. E Kabila, che ha già fatto due mandati, non dovrebbe più candidarsi. Queste sono le condizioni poste dall’opposizione. Si vedrà nelle prossime settimane quali saranno gli sviluppi.








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