2016-11-21 12:52:00

Rom. Emergenza baraccopoli: 20 mila minori in povertà


Sono almeno 20 mila i minori Rom che in Italia vivono in condizione di povertà assoluta nelle baraccopoli. È quanto denuncia, in corrispondenza della Giornata Mondiale dei diritti dell’infanzia, l’associazione 21 luglio in occasione del convegno “Figli delle baraccopoli. Restituire il sogno perduto”, e presentando il report “Uscire per sognare. L’infanzia rom in emergenza abitativa nella città di Roma”. Il servizio di Francesco Gnagni:

Una situazione del tutto allarmante, che espone continuamente questi “figli delle baraccopoli” al rischio di malnutrizione, malattie infettive come la tubercolosi, infezioni virali. Condizioni che concedono a questi bambini un’aspettativa di vita di circa dieci anni inferiore alla media, e dove per almeno un minore su cinque l’accesso all’istruzione è praticamente negato, e le possibilità di arrivare a una formazione secondaria o universitaria sono praticamente ridotte a zero. Ne abbiamo parlato con il presidente dell’Associazione 21 luglio Carlo Stasolla:

R. – In Italia sono numerose, centinaia le baraccopoli presenti sul territorio nazionale in cui vivono circa 20 mila minori. Vivono in condizioni di precarietà estrema e sono i numeri poi, di fatto, a condannare la loro esistenza fin dalla nascita. Un bambino che oggi nasce in una baraccopoli della capitale o della città di Torino o di Milano, già sa che avrà una possibilità prossima allo zero di accedere – per esempio – a un percorso universitario, mentre le possibilità di frequentare le scuole superiori non supereranno l’1 per cento. E la sua aspettativa di vita risulterà mediamente più bassa di circa 10 anni rispetto al resto della popolazione. Si tratta quindi di una vita segnata dalla sofferenza e soprattutto della mancanza di alternative e di aspettative di vita migliore.

D. – Qual è il rapporto dei rom con la società cosiddetta “maggioritaria”?

R. – Più che parlare di rom – perché i rom, infatti, in Italia sono 180 mila e quattro quinti – non dimentichiamolo – vivono in condizioni abitative adeguate e lavorano e conducono una vita mimetizzata nel tessuto cittadini; qui piuttosto parliamo delle 35 mila persone che vivono in condizioni di povertà. Sicuramente è un rapporto conflittuale, ma non tanto per l’essere rom quanto per essere in condizione di marginalità e di segregazione. A questo poi si sommano una serie di pregiudizi e stereotipi di cui la società maggioritaria è impregnata che chiaramente condizionano e rendono ancora più difficile la vita di un minore che vive all’interno delle baraccopoli italiane.

D. – Come influiscono, per esempio, gli sgomberi sulla loro vita?

R. – Lo sgombero ha un effetto devastante, non solo per le casse di una città – visto che lo sgombero ha costi altissimi e il comune di Roma, ad esempio, l’anno scorso ha speso più di un milione di euro per sgomberare le persone; ma ha un effetto devastante sulla salute fisica e psichica dei minori sgomberati. Lo sgombero forzato non è altro che un cinico gioco dell’oca organizzato dalle amministrazioni comunali, che poi pongono le persone e le famiglie in condizione di ulteriore vulnerabilità e hanno per conseguenza non solo la perdita di beni personali ma anche, per esempio, la brusca interruzione delle relazioni sociali o l’accesso ai servizi e quindi anche della frequenza scolastica.

D. – Finora sono state applicate politiche capaci di risolvere almeno parzialmente questa problematica?

R. – Ci sono stati tentativi, in alcune città: penso a Torino, penso ad Alghero, penso a Messina ma sicuramente è poco e ancora poco. Mancano politiche nazionali organiche, nonostante ci sia una strategia di inclusione; mancano fondi ad hoc per cui ancora oggi ci sono città, regioni che preferiscono spendere in sicurezza – o meglio, in una percezione di sicurezza – in politiche aggregative marginali – pensiamo che la città di Roma sta progettando e costruendo un nuovo campo per soli rom – piuttosto che per l’inclusione. Sarebbero politiche sicuramente meno costose, inclusive, con grossi vantaggi per tutti ma che di fatto nel nostro Paese tardano a decollare.

D. – Secondo lei, quindi, qual è il primo passo da fare per restituire questi diritti?

R. – C’è una strategia nazionale di inclusione, ci sono delle raccomandazioni a livello europeo … basterebbe applicare quello che già c’è … basterebbe trovare, all’interno delle macchine amministrative, persone che abbiano competenze ad hoc, competenze per l’inclusione: sarebbe quindi facile, non costoso, a vantaggio di tutti. Purtroppo, c’è l’inconveniente che politiche di questo tipo non sempre portano consenso e quindi portano voti a un amministratore. Occorrono quindi anzitutto amministratori capaci, ma anche e soprattutto coraggiosi.

 








All the contents on this site are copyrighted ©.