2016-11-23 18:19:00

Grasso al 25.esimo della Dia: necessario incentivare indagini


“La Direzione investigativa antimafia è realmente l'agenzia del fattor comune, che unisce una squadra che è la squadra Stato". Lo ha detto questa mattina il ministro dell'Interno Angelino Alfano intervenendo al Senato alla cerimonia per i 25 anni della Dia. Al Convegno, che ha visto la presenza  delle più alte Autorità istituzionali e giurisdizionali, è intervenuto anche il presidente del Senato Pietro Grasso che ha auspicato non venga mai meno, nell’ambito dell’impegno contro la criminalità organizzata della Direzione, la centralità delle investigazioni. Adriana Masotti ha sentito Vincenzo Ciconte, scrittore, docente e politico italiano, esperto di mafia:

R. – Credo che la DIA sia uno strumento importante, molto serio, che nel corso degli anni ha sviluppato indagini molto importanti. L’idea iniziale, quella che era stata attribuita da Falcone, era quella di fare in modo che ci fosse un Centro che mettesse insieme le esperienze di Carabinieri, poliziotti e Guardia di finanza per fare in modo che l’insieme delle indagini fossero governate e gestite da questo strumento. Inizialmente, questa fu l’intuizione molto importante. Il problema era che era difficile realizzare questa ipotesi di lavoro, perché i Carabinieri, la Polizia e la Guarda di finanza non sempre erano d’accordo. C’era una forte concorrenza tra di loro e quindi molto spesso cercarono di svuotare l’importanza di questo organismo.

D. – La DIA ogni giorno confisca tre milioni alla criminalità organizzata, in questi 25 anni quasi 30 miliardi, cifre molto importanti. Sul fronte, invece, proprio della investigazione, cosa potremmo dire?

R. – Che il lavoro è minore, perché c’è una specializzazione della DIA, adesso, sul piano dei sequestri e delle confische dei beni. Invece, fa di meno su tante indagini classiche proprio per le ragioni che spiegavo prima, perché il personale della Dia proviene da quei Corpi.

D. – Proprio per questo, penso, il presidente del Senato ha detto oggi: “Non venga mai meno l’animo ispiratore della centralità delle investigazioni sulla criminalità organizzata”. E che cosa si potrebbe fare, allora, per riportare alle origini l’impegno della Dia?

R. – Esattamente quello che diceva il presidente del Senato, cioè l’idea che le mafie devono essere controllate attraverso le attività investigative, perché noi sappiamo dove sono gli interessi: sono interessi economici, sappiamo dove sono i territori: sono ormai non più soltanto nel Mezzogiorno ma anche al Nord … Quindi, ci dev’essere una diffusione capillare di queste indagini, in grado di colpire i vecchi e i nuovi interessi, sapendo una cosa molto semplice che disse Falcone, e cioè che le mafie sono un prodotto dell’uomo e come tali prima o poi sono destinate a finire. Se noi guardiamo la vicenda della mafia siciliana, è esattamente la storia di questo fatto, nel senso che dopo le stragi di Falcone e Borsellino, lo Stato decise di intraprendere la lotta alla mafia e la Dia fu uno strumento di questa lotta. Oggi la mafia siciliana non è più la mafia che uccise Falcone; oggi la mafia siciliana è praticamente finita nel momento in cui è stato arrestato l’ultimo capo dei Corleonesi – Provenzano – e c’è una nuova mafia che però non ha nessuna possibilità di essere paragonata alla mafia degli anni ruggenti, quando a comandare era Totò Riina. Quindi, la possibilità di infliggere colpi decisivi alle organizzazioni mafiose esiste.

D. – Ma, come diceva lei, per la mafia ci sono sempre nuovi ambiti e nuovi interessi. Oggi potremmo dire, ad esempio, quello dell’immigrazione oppure anche la ricostruzione dopo un terremoto …

R. – Sì. Con la differenza che la ricostruzione dal terremoto, siccome sappiamo che loro possono arrivarci, ci sono le possibilità di impedire che la facciano. Anche qui è chiaro che le mafie trovano sempre la possibilità di entrare in settori nuovi: il problema è se lo Stato decide che quei settori nuovi li fa prendere dalla mafia, oppure no.

D. – Quindi, insomma, oltre alle parole, lei dice, bisogna poi dare i mezzi perché l’investigazione vada avanti …

R. – Non c’è dubbio alcuno. Bisogna dare mezzi, uomini, forze perché questa partita si possa giocare bene, si possa vincere definitivamente questa battaglia. Io sono convinto che i mafiosi si possano vincere!

D. – C’è però anche il fenomeno della globalizzazione della mafia, che richiede quindi anche tecniche di indagine nuove …

R. – Sì. Richiede soprattutto accordi a livello internazionale, protocolli d’intesa tra le varie polizie dei vari Stati; bisogna creare spazi – anche giuridici – comuni in modo tale che se io indago per mafia in Italia, se il mafioso si sposta all’estero, poi all’estero la polizia italiana è impedita dall’indagare efficacemente, perché lì il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso non esiste …  Quindi c’è ancora tutto un lavoro da fare a livello internazionale, questo è fuori discussione. E credo che la DIA, da questo punto di vista, possa giocare un ruolo importante.








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