2016-12-06 19:01:00

Damasco: no a tregua senza ritiro dei ribelli da Aleppo


Salta la tregua in Siria dopo il veto della Russia al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Damasco ringrazia Mosca e ribadisce: nessun accordo prima che i terroristi abbiano completamente lasciato Aleppo. Cecilia Seppia

La speranza di una tregua in Siria è naufragata dopo il veto posto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu dalla Russia, appoggiata da Cina e Venezuela sulla risoluzione presentata da Spagna, Egitto e Nuova Zelanda per un cessate il fuoco di 7 giorni nella martoriata città di Aleppo. La motivazione data da Mosca è che sono in corso negoziati con Washington per raggiungere lo stesso fine, negoziati che però tarderebbero ad iniziare anche se il segretario di Stato Usa Kerry garantisce che presto aprirà a Ginevra il tavolo delle consultazioni.  La risposta di Damasco d’altronde va in questa direzione: nessuna tregua senza l’uscita totale dei ribelli dalla città, che per il 75 per cento è comunque ora controllata dai governativi, grazie anche agli ultimi 5 quartieri strappati dalle mani dell’Is. Sul terreno la guerra continua, come la fuga di civili. 7 persone sono state uccise alla frontiera con la Turchia,  mentre tentavano di varcare il confine, portando così a 163 il numero dei profughi siriani fucilati nel corso dell’anno perché sorpresi a fuggire. Preoccupazione dalla Germania con la Cancelliera Merkel che ammonisce: “E’ una vergogna che non si sia riusciti a far partire ad Aleppo  un corridoio umanitario”. Il premier turco Yildirim rilancia la sfida più urgente: lottare insieme contro il terrorismo.

 

L’organizzazione umanitaria Medici senza Frontiere lancia un nuovo accorato appello in cui si chiede la fine dei bombardamenti su civili e ospedali. Oggi manifestazione a Roma per promuovere un intervento in tal senso del governo italiano. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Loris De Filippi, presidente di Medici senza Frontiere:

   

R. – Quello che bisogna dire è che solo ad Aleppo Est 30 strutture sanitarie sono state bombardate. Delle circa 30 ambulanze ora ce ne sono 5 funzionanti e, una volta che le persone vengono raccolte dalle macerie, non si capisce bene dove possano essere portate, perché gli ospedali sono seriamente danneggiati.

D. - C’è ormai una confusione tra il conflitto e il coinvolgimento dei civili e delle strutture sanitarie. Come mai sta avvenendo questo?

R. - Per varie ragioni. La più probabile è che l’area dei bombardamenti è talmente estesa che tocca necessariamente i civili e le strutture sanitarie. È evidente che in questo momento bisognerebbe fare una pausa, tentare di evacuare i feriti che ci sono e che non vengono seguiti in questo momento; inoltre tentare di approvvigionare dal punto di vista sanitario le strutture che tentano di continuare a lavorare, perché il numero dei civili colpiti è in costante crescita: dal 23 settembre al 24 novembre ci sono stati più di 4350 feriti di cui 510 bambini, mentre ci è stato segnalato il decesso di 1060 persone tra cui 150 bambini. In questo caso parliamo solo delle persone che giungono negli ospedali in qualche modo approvvigionati da noi. Sicuramente ci sono altre vittime civili sotto le macerie e altre che vengono sepolte in un modo abbastanza rapido e non rientrano nei conteggi ufficiali. Quindi siamo in una fase drammatica e il racconto delle persone con cui lavoravamo e che continuiamo ad appoggiare diventa sempre più drammatico; viene rotto dal pianto, dalla loro disperazione. Una situazione così grave, come quella dell’ultima settimana, non si è mai vista durante l’assedio.

D. - Il “No” al Consiglio di Sicurezza a una nuova tregua e quindi alla possibilità di aprire corridoi umanitari, in che posizione sta mettendo le organizzazioni umanitarie, quindi anche Medici senza Frontiere?

R. – E’ proprio per questo motivo che questa sera, a Roma, scendiamo in piazza a Montecitorio, per pregare veramente tutte le autorità a tenere in considerazione questo fatto: non è pensabile, nemmeno durante un conflitto, che i civili soffrano così gravemente la mancanza di aiuto umanitario. Tutto questo va contro la risoluzione recente ratificata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, la n. 2286, che impegna gli Stati membri a proteggere i civili e i servizi medici di cui hanno particolare bisogno per sopravvivere. 








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