2016-12-09 11:05:00

Cento anni fa nasceva Aldo Moro


Il 9 dicembre di 100 anni fa nasceva Aldo Moro. Le Istituzioni italiane lo ricordano come illustre rappresentante della politica italiana del '900 cui ha dedicato la sua vita sin dalla sua iscrizione poco più che ventenne alla Fuci, la federazione degli universitari cattolici. Tra i fondatori della Democrazia Cristiana, è stato presidente del Consiglio e ministro degli Esteri nei difficili anni '70 che si concluderanno col suo rapimento e l’uccisione da parte delle Brigate Rosse. Come ricordare questa figura oggi e quale il suo lascito? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Massimo Bray, già ministro dei Beni culturali e oggi presidente dell’Istituto Treccani:

R. – Protagonista della nostra storia, un grandissimo statista nella storia europea ed internazionale che capisce quelli che sono i cambiamenti sociali, che vede aprire prima al centro-sinistra, al Partito socialista con cui ha un dialogo fitto, e poi addirittura al Partito comunista. Fa tutto questo sempre con questa capacità di tenere sempre unito il Paese. Moro capisce che bisogna avvicinare le classi dirigenti ai cittadini, che la politica deve saper ascoltare, … Ci sono dei passi bellissimi in cui lui ci dice di fare attenzione, perché la mediazione non vuol dire compromesso e il compromesso non vuol dire cercare di rallentare il corso della storia; bisogna invece mettere a fuoco gli obiettivi dopo aver ascoltato quelle che sono le aspettative dei cittadini. Questo è il Moro che mi piace ricordare.

D. – C’era qualcosa di Moro che dava fastidio?

R. – Penso che ciò che dava fastidio di Moro fosse, da una parte, questa capacità di ricercare sempre una sintesi nella politica, che forse è quello che abbiamo smarrito oggi; questo ovviamente vuol dire aver molta pazienza, mettersi in discussione, avere un forte spirito critico per veder i limiti e – in quel momento – i limiti di alcune politiche anche della Democrazia cristiana.

D. - Cosa, di quel mondo, secondo lei è rimasto a livello di convinzioni, di energie, di impegno?

R. – Credo che dal punto di vista antropologico il Paese sia cambiato; non c’è più questa capacità di fare sintesi, di fare sistema, di lavorare insieme per raggiungere gli obiettivi, non c’è più la capacità di mettersi in discussione, di saper anche riuscire a sorprendere con delle aperture importanti. Oggi c’è quasi questa contrapposizione tra leader, quindi tra personalità legate a forti individualità; è davvero molto diverso da quello che pensava Moro. Tutto questo è avvenuto – credo – perché la politica si è piegata probabilmente ad altri interessi, non ha saputo né interpretarli né correggerli né guidarli. Però, credo che gran parte degli scenari che vediamo di fronte a noi – che mi preoccupano e non posso condividere - sono dovuti a questa debolezza della politica.








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