2016-12-09 20:33:00

Onu chiede il cessate il fuoco, ma la tregua è stata violata


L’immediato cessate il fuoco in Siria è stato chiesto da una risoluzione votata a stragrande maggioranza dall’assemblea generale delle nazioni unite. L’Onu sollecita inoltre l’invio urgente di aiuti nelle zone più colpite a partire da Aleppo. Ma sul terreno la situazione diviene sempre più drammatica. La tregua è già stata violata, mentre l’esercito del presidente Assad avrebbe ormai nelle mani il 93% della città di Aleppo. Francesca Sabatinelli:

Le informazioni arrivano da Mosca, è da lì che si fa sapere che gli uomini di Assad avrebbero strappato 52 quartieri di Aleppo orientale al controllo dei ribelli, di cui oltre mille si sarebbero consegnati e questo, sempre secondo i russi, per usufruire della amnistia che li farebbe tornare alla vita pacifica. Ed è ancora lo Stato Maggiore russo a parlare di casi di torture, di esecuzioni pubbliche, di abusi a carico dei civili perpetrati dai membri, si sottolinea, della “cosiddetta opposizione moderata”. Dall’Onu però arrivano notizie allarmanti, le fornisce l’Alto Commissariato per i diritti umani a denunciare la scomparsa di centinaia di uomini passati da Aleppo est in aree controllate dal governo, ed è sempre l’Onu a ricordare che la preoccupazione nasce dalle prove di detenzione arbitraria, tortura e sparizioni forzate da parte del governo. Sono intanto ripresi i raid aerei sulle zone ancora controllate dai ribelli, se ne sarebbero contati ben 12, il che sancisce la fine della pausa umanitaria annunciata ieri dal ministro degli esteri russo Lavrov.  E’ intanto notizia anche di un contrattacco dell’Is su Palmira e altri obiettivi strategici nella parte orientale della provincia di Homs dove, dall’alba di ieri i miliziani dello Stato islamico sono passati alla controffensiva uccidendo almeno una cinquantina di persone tra soldati regolari e paramilitari fedeli al regime di Bashar al-Assad,

Sull’aspetto umanitario del conflitto e l’evoluzione della guerra, Marco Guerra ha sentito Paolo Branca, docente di Storia dei Paesi arabi e dell'Islam, dell'Università Cattolica di Milano:

R. – Purtroppo, le guerre cosiddette moderne hanno dimostrato questo cinismo, in cui anche l’attacco alle città, ai civili, viene usato come strumento di pressione e questo intristisce: che dopo cinque anni di guerra di distruzione totale di un Paese come la Siria, si sia ancora a questo livello veramente infimo di consapevolezza che chi pianterà la sua bandiera, la pianterà su un cumulo di macerie.

D. – Assad parla della riconquista di Aleppo come di “una vittoria che non significa la fine della guerra”, e sembra che Damasco voglia andare avanti finché non avrà riconquistato tutte le roccaforti dei ribelli. Si allontana quindi una soluzione diplomatica della crisi siriana?

R. – Non so se sia mai stata vicina … Purtroppo, quando le guerre prendono questo carattere etnico-religioso, di fazioni opposte – abbiamo visto anche l’Iraq – fa pensare più a una guerra di distruzione totale del nemico. Questo è particolarmente grave in un posto fatto così, a mosaico, di popoli e di religioni come lo è la Siria; e soprattutto, la parte del presidente Assad, che avrebbe dovuto guidare una transizione e invece non ha fatto nulla per impedire la distruzione quasi totale del suo stesso Paese.

D. – La coalizione a guida Usa che ruolo sta giocando, in queste ultime settimane? E’ plausibile che la nuova amministrazione di Washington stia lasciando campo libero a Mosca e Damasco?

R. – Ma, di fatto è già così da tempo! Io avevo paura che, al di là della crisi umanitaria, ci sarebbe stata una crisi della politica internazionale, che forse sarebbe stata ancora più tragica. Insomma, vediamo come tutto il Medio Oriente, il Nord Africa – pensiamo anche alla Libia – vede praticamente l’assenza dell’Europa o anche degli Stati Uniti, e vecchi giocatori come la Russia di Putin stanno riguadagnando terreno in un’area che sta diventando un po’ marginale nei grandi giochi internazionali, perché tutto ormai si gioca sul Pacifico, nel braccio di ferro tra Stati Uniti e Cina. Noi, insieme ai nostri dirimpettai del Mediterraneo, stiamo diventando una sine cura in cui chiunque può lanciare le sue avventure, essendo poi tra l’altro quelli che pagano il prezzo con l’arrivo dei disperati che scappano.

D. – Diciamo che la Siria tornerà sotto l’influenza russa, come era prima della crisi?

R. – E’ dai tempi di Nasser che non si aveva una presenza russa così decisa nel Mediterraneo orientale; e anche i giochi con Erdogan mi pare che vadano in questa direzione. Ciò che preoccupa è la quasi indifferenza dei blocco occidentale che ha messo in piedi questa coalizione che è del tutto nominale; ma in realtà, ha lasciato il campo alle iniziative altrui …

D. – L’Onu, in queste ore, denuncia la scomparsa di centinaia di uomini fuggiti da Aleppo Est: è il momento delle ritorsioni, delle vendette … C’è il pericolo che questa crisi siriana, appunto, continui lungo la direttrice di una guerra civile senza fine?

R. – Purtroppo, il precedente dell’Iraq preoccupa: essendosi spaccato il Paese, anche se non nominalmente ma de facto in una zona curda al Nord e in una zona sunnita al Centro e sciita al Sud, il Paese non è più tornato a nessuna stabilità. La Siria non è così nettamente divisa in fasce d’influenza però, appunto, dicevamo prima, è un mosaico. Purtroppo, il carattere settario di questa guerra civile, che non è però divisa in fasce così precise come in Iraq, rende ancora più frastagliata, sul terreno, la situazione e le vendette trasversali possono addirittura passare di villaggio in villaggio, di quartiere in quartiere.








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