2016-12-16 09:30:00

Brasile: politica di austerità per 20 anni, tagli a sanità e istruzione


Un piano di austerità per salvare il Brasile dalla recessione, questo il piano che il Paese ha varato, con 53 voti favorevoli, per i prossimi venti anni tagliando la spesa sociale. Il provvedimento modifica dunque la Costituzione ponendo un tetto alla spesa pubblica, diminuendo drasticamente settori dell’economia brasiliana quali sanità e istruzione, a scapito delle fasce più povere della popolazione. Con questo emendamento costituzionale, chiamato “Pec 55”, il governo di Michel Temer è teso a riportare nei ranghi la finanza pubblica contando anche su investimenti provenienti dall’estero. Violenti gli scontri nella città di Brasilia dove la polizia ha messo sotto controllo gli uffici pubblici della capitale, e molti manifestanti hanno raggiunto gli uffici locali di Rede Globo, emittente locale accusata di divulgare informazione a favore del governo. Ad analizzare la situazione e il provvedimento, ritenuto da molti incostituzionale perché viola diritti inalienabili della popolazione, il prof. Roberto Vecchi, Direttore Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Moderne dell' Università di Bologna , nell’intervista di Sabrina Spagnoli:

R. – La Corte Suprema ha provato a sospendere il presidente del Senato per le sue collusioni con il sistema di corruzione; non vi è riuscito perché poi la stessa Corte Suprema lo ha riabilitato anche se ha interrotto poi la linea diretta successoria della presidenza. La crisi è una crisi molto complessa. Il tema della corruzione, che era stato usato selettivamente per provocare la deposizione della presidente Dilma Rousseff, potenzialmente potrebbe minare questo governo. Esistono delle deposizioni di pentiti che fanno pensare che la stessa presidenza sia in un qualche modo a rischio in questo momento; e ciò crea evidentemente un conflitto fortissimo fra i poteri principali dello Stato: il sistema giudiziario, l’esecutivo, e la Corte Suprema che dovrebbe sopraintendere ai rapporti complessivi.

D. - Si dice infatti che il Paese sia in crisi per il buco economico lasciato dalle Olimpiadi, ma in realtà non è questa solamente la causa scatenante..

R. – No, assolutamente. È chiaro che i grandi eventi abbiano dei costi, ma nello slancio del Brasile degli scorsi anni le Olimpiadi sarebbero state una specie di vetrina. Quello che è cambiato è il modello economico. La deposizione del governo precedente ha lasciato spazio al ritorno di un’economia più “finanziarizzata”. Il Brasile è un Paese che ha avuto negli ultimi anni uno stretto controllo dell’accesso al credito e dei tassi di interesse per favorire il consumo e il mercato interno; il nuovo governo invece va nella direzione contraria, ripristinando le condizioni economiche del Brasile degli anni 90: una piena apertura neoliberale all’internazionalizzazione e un altissimo tasso degli interessi bancari. Questo favorisce soltanto una porzione ristretta di popolazione, mentre ne danneggia la stragrande maggioranza.

D. – Con questa manovra si bloccheranno le spese per salute e istruzione, e a pagarne le conseguenze saranno ovviamente i più poveri. Ma il governo in questo caso è consapevole che rischia di favorire modalità illecite di sopravvivenza?

R. – Sì, senz’altro. La famosa proposta di emendamento costituzionale 55, che mette sotto controllo per 20 anni, di fatto congela, la spesa pubblica, è un’operazione politica lucidissima, che vuole minare diritti che sono diventati negli ultimi anni universali, e che devono mettere in atto dei processi di integrazione fondamentali per un Paese ancora disintegrato. Non è un caso peraltro che l’ultima votazione su questo emendamento sia avvenuta il 13 dicembre, esattamente in corrispondenza con uno degli anniversari più tragici della storia brasiliana: il 13 dicembre 1968 la dittatura militare adottò le “leggi di eccezione” che resero ancora più dura la repressione violenta all’interno del Paese. E devo dire che questo citazionismo della politica attuale non è casuale. E allora questo emendamento vuol dire sostanzialmente rinnegare i diritti della stragrande maggioranza della popolazione, e conservare tutti i privilegi della élite, esattamente nella direzione contraria a quella dei governi in particolare di Lula e del primo mandato di Dilma Rousseff. Quindi direi che il problema non è tanto il possibile inasprimento della violenza sociale: la violenza sociale è già all’interno di questo emendamento perché vuol dire esclusione per larghi strati della popolazione nei prossimi 20 anni. Chiudere la spesa sociale in un Paese che ha avuto un grosso progetto nazionale negli ultimi mandati presidenziali vuol dire distruggere una generazione di brasiliani: quella più giovane. Per questo, non a caso, in molti Stati del sud est del Brasile le scuole oggi sono occupate. Oggi l’avanguardia del movimento di protesta è costituita proprio dagli studenti: medi e universitari, i quali sono consapevoli che le prime vittime di questo provvedimento sono le nuove generazioni. L’idea è quella di conservare un Brasile “escludente”, e, in nome di alcuni privilegi, di minare alla base l’universalismo delle politiche pubbliche.








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