2016-12-16 16:07:00

Cambiamenti climatici e migrazioni, quando la cooperazione fa la differenza


Domenica 18 dicembre ricorre la Giornata Internazionale del Migrante. La data è stata scelta nel 2000 dalle Nazioni Unite per celebrare l’adozione da parte dell’Assemblea Generale della Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti dei Lavoratori Migranti e dei Membri delle Loro Famiglie. Un documento che nessun membro dell’Ue ha ancora firmato o ratificato. Eppure, l’aumento esponenziale dei migranti che arrivano sulle coste dell’Europa non è un fenomeno che sia possibile ignorare, se non per i morti in mare (circa 4mila nel 2016), quantomeno per le tensioni sociali che sta generando.

Serve un’alternativa nei paesi d’origine

Ne è ben cosciente Giampietro Pettenon, presidente delle Missioni Don Bosco, che illustrando alcuni progetti avviati in Africa sottolinea l’importanza di creare occasioni di formazione e lavoro nei paesi di origine dei migranti proprio per evitare che tante migliaia di giovani vadano incontro alla morte nel tentativo di costruire il proprio futuro. L’Europa di oggi non deve avere strategie di difesa e costruire nuovi muri. Contro la disperazione di questa gente, che non ha nulla da perdere perché già condannata alla miserie più nera, l’unica possibilità è affrontare la questione alla radice creando le condizioni che permettano il raggiungimento della autosufficienza nei loro paesi.

Le carenze nell’accoglienza

Il sistema italiano ed europeo non può reggere questa consistenza dei flussi migratori se non  affronta la questione delle migrazioni  in maniera diversa. Agostino Sella, presidente di Don Bosco 2000, gestisce un centro di accoglienza a 2 chilometri dal Porto di Catania , talmente pieno da non poter più accogliere nessuno. Una situazione talmente diffusa da spingere le autorità ad adottare soluzioni di accoglienza emergenziali e non adatte a risolvere il problema.

La cooperazione: una possibile alternativa

Eppure ci sono progetti legati alla cooperazione che riescono a incidere anche sui flussi migratori. E’ il caso del Progetto WASH (Water, Sanitation, Hygene) del VIS, il Volontariato Internazionale per lo sviluppo di cui è responsabile in Etiopia Vittoria Curreri, che racconta come grazie ai fondi della cooperazione allo sviluppo sia stato possibile contrastare la siccità provocata da El Nino e per garantire l’accesso all’acqua alle popolazioni colpite dalla siccità. Così facendo è stato possibile non solo evitare conflitti tribali e migliorare le condizioni igienico sanitarie, ma anche dare un nuovo impulso all’istruzione dei bambini. Con un effetto collaterale importante: le persone non dovendo lasciare i villaggi per cercare di sopravvivere nelle grandi città,  corrono meno pericoli di cadere vittime della tratta e dei canali di emigrazione clandestina.

Rispettare la terra, per non dover migrare

I migranti climatici sono il frutto della mancanza di rispetto che abbiamo della terra – dice Pettenon, mentre Sella indica a mo’ di paradosso come siano proprio i paesi più poveri a pagare il prezzo più alto dei cambiamenti climatici provocati dalle emissioni inquinanti dei paesi più ricchi. 

(A cura di Stefano Leszczynski)








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