2016-12-17 12:30:00

Ue: aiuti al Niger, firmato accordo da 610 milioni di euro


È stato firmato, nell’ambito del “migration compact” promosso dall’Unione Europea per l’Africa, lo stanziamento di 610 milioni di nuovi aiuti al Niger, Paese che ha saputo cooperare in modo efficace in materia di lotta alla migrazione irregolare oltre che zona di principale transito verso la Libia. Francesco Gnagni ne ha parlato con Riccardo Moro, docente di politiche dello sviluppo presso l’Università degli Studi di Milano ed esperto di questioni dello sviluppo:

R. – Ci sono due linee su cui l’Unione Europea si sta muovendo: una è quella dei cosiddetti “migration compact”, che sono accordi bilaterali con i Paesi, dall’altra parte c’è il piano di investimenti che è più a medio e lungo periodo: un lavoro di investimento in Africa significa, evidentemente, maggiori opportunità per cambiare le caratteristiche del Continente ed evitare che le persone siano costrette a scappare. Il problema vero – o i problemi veri – però sono due: uno è che le ragioni di questa forte migrazione non sono esclusivamente legate alle difficoltà di natura economico-sociale, ma sono dovute all’emergenza del Medio Oriente, e soprattutto all’emergenza siriana. Abbiamo visto la situazione drammatica di Aleppo. Due, che l’Unione Europea non è unita, nel senso che quello che sta facendo l’Unione Europea oggi è meno di quello che potrebbe fare in termini di accoglienza, e non solo: ci sono tuttora alcuni Paesi che stanno tentando di costruire una posizione che non va, di fatto, verso l’accoglienza.

D. – La cooperazione è quindi la risposta al tema delle migrazioni …

R. – Certamente sì. Non è l’unica risposta, se vogliamo, nel senso che da un lato c’è una risposta emergenziale che è quella che dev’essere legata all’accoglienza; dall’altro, c’è una risposta di intelligence e anche di forze dell’ordine, di polizia, per contrastare la tratta e i trafficanti. Però, sicuramente, se noi vogliamo eliminare la causa fondante, la causa che origina, a monte, questi movimenti abbiamo bisogno di modificare le scandalose – perché non c’è altra parola – differenze tra le condizioni di vita che ci sono, ad esempio, in Europa e le condizioni di vita che si vedono in molti contesti del Sud del mondo.

D. – Come assicurarsi però che questo denaro venga effettivamente utilizzato per stimolare la capacità produttiva e creativa del Paese? Mi spiego meglio: è una questione solo di capacità, di know how, oppure ci sono anche altre tematiche che in qualche modo hanno bisogno di essere affrontate?

R. – Sicuramente ci sono altre tematiche, nel senso che abbiamo bisogno in questi casi di un approccio olistico, cioè di un approccio che guardi ai contesti a cui ci si rivolge nella loro globalità. Globalità vuol dire che non basta fare un investimento economico. Se non ci sono persone che abbiano una formazione adeguata per poter lavorare in un’impresa che magari richiede particolari specializzazioni, noi rischiamo di fare un investimento anche tecnologico e quell’investimento tecnologico non sarà sostenibile. Se facciamo un investimento per sviluppare una capacità produttiva in un settore particolare nel quale non ci sia ancora – per varie ragioni – una domanda adeguata, ovviamente facciamo un’operazione che non sarà sostenibile. Occorre allora una lettura globale dei processi, delle esigenze e delle capacità dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista sociale; occorre prima di tutto che questo tipo di lettura sia comunque condiviso, nel senso che fare cooperazione non significa andare e dire che cosa si deve fare; al limite, significa andare e chiedere che cosa si possa fare. Significa dunque decidere insieme, leggere insieme bisogni e opportunità, scegliere insieme e poi accompagnare anche i processi. C’è una dimensione economica in questo – anche strettamente tecnica – ma non è assolutamente l’unica dimensione.








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