2016-12-19 16:05:00

Afghanistan, il ritratto di un Paese 'sospeso' nel libro di N. Piro


Un conflitto durato più della seconda guerra mondiale. Una missione internazionale costata milioni di euro e migliaia di vite. Nel suo libro, “Afghanistan missione incompiuta”, il giornalista del Tg3 Nico Piro racconta la vita di tutti i giorni di un Paese dove regna l’instabilità politica e dove vari potentati locali dettano legge. La parola allo stesso Piro intervistato da Alessandro Guarasci:

R. – Sbaglia chi ha fatto calare sull’Afghanistan, dopo il 2014, cioè dopo il ritiro delle truppe occidentali della missione Isaf, un oblio che a mio avviso serve solo a non farci fare i conti con gli errori che abbiamo commesso in quegli anni, durante un conflitto che è durato più della Seconda guerra mondiale: basta guardare una serie di dati. L’Afghanistan, nel 2015, ha avuto un record di vittime civili, nel 2016 naturalmente i macabri conteggi sono ancora in corso, ma il trend è quello; la produzione di oppio è ai massimi livelli storici; il governo è in una fase di forte instabilità e in più, il Paese è caduto nella recessione perché per diversi anni è cresciuto anche a due cifre, grazie all’economia di guerra, e oggi invece è praticamente fermo, dal punto di vista dell’economia. Purtroppo la ricostruzione non ha lasciato questo Paese in condizioni tali da poter produrre o comunque mantenersi.

D. – Esiste ancora l’equazione “Talebani = Afghanistan”?

R. – In realtà la guerriglia e le forze governative sono una galassia; tra di loro ci sono tantissimi ex-mujaheddin, cioè quelli che l’Occidente considerava i buoni perché combattevano contro i russi, a cominciare dal clan Haqqani a cui tristemente si deve una serie di episodi drammatici: non dimentichiamo anche l’uccisione dei nostri sei parà, oltre che di diversi civili, il 17 settembre 2009 a Kabul, il peggior attentato contro la nostra missione. Ci sono i Talebani in senso stretto che però ormai si sono frantumati dopo la notizia della morte del mullah Omar, tenuta nascosta appositamente dallo stesso vertice talebano per due anni; il movimento si è frantumato e in più ci sono delle scissioni a favore dell’Isis: in pratica c’è ormai una provincia, la provincia di Nangarhar, una provincia importante che collega il Pakistan a Kabul, che ormai è nelle mani di un gruppo di ex-talebani che si è associato al cosiddetto “califfato”.

D. – Tutto questo come viene vissuto dalla popolazione locale? E soprattutto: c’è il rischio di una nuova radicalizzazione islamica?

R. – Rischiamo di trovarci di fronte a un governo centrale che collassa, la cui autorità si restringe sempre più solo ai grandi centri urbani, mentre il resto del Paese è nelle mani di formazioni più o meno radicali. Lo vediamo al Nord, nella provincia di Kunduz, che fino al 2008-2009 era una provincia relativamente tranquilla, che ormai è diventata territorio in particolare di bande di terroristi che arrivano dalle vicine e confinanti repubbliche ex-sovietiche; quella parte, la provincia di Bala Murghab è tornata a essere una rotta strategica per portare la droga fuori dal Paese e una testa di ponte per la guerriglia per potere fare operazioni nel Nord.

 








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