2016-12-21 14:49:00

Mons. Nosiglia: a Natale aprire la porta del cuore e della casa agli altri


Si intitola ‘Sto alla tua porta e busso’ la Lettera che mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, ha indirizzato alle famiglie per Natale.  “Aprendo la porta a Gesù Cristo impariamo ad aprire la porta del cuore e della casa agli altri: a figli, anziani, parenti, i vicini di casa, amici, colleghi di lavoro, poveri e emarginati”. “Natale, ha sottolineato l’arcivescovo nella presentazione della Lettera di Natale ieri a Torino, è la festa dell’incontro tra Dio e ogni uomo”. Ascoltiamo mons. Cesare Nosiglia al microfono di Luca Collodi:

R. – Quando si conosce l’altro, ci si incontra, ci si guarda negli occhi, tante remore, tanti muri si abbattono. Perché io mi sono accorto – e ho fatto l’esperienza – che a Torino la gente spesso ha paura dell’immigrato, del rifugiato, del povero che non conosce. Ma quelli che sono vicini, che fanno parte della tua comunità, che si inseriscono, sono introdotti nella tua comunità, incominci a conoscerli e ti accorgi che sono persone normali, che però hanno bisogno, sono in necessità, come anche tu a volte hai bisogno. E questo crea relazione e creando relazione, si crea indubbiamente amicizia e tutto sommato è la via semplice che conduce poi anche all’integrazione.

D. – Nella lettera di Natale alla città di Torino non si parla solo di immigrati. La crisi ha colpito molto anche le famiglie italiane…

R. – Più volte mi sono sentito dire: “Dobbiamo pensare prima ai nostri e poi agli altri!”. Io dico che dobbiamo pensare anzitutto alle persone. La persona in quanto tale va amata, va accolta, va sostenuta. “I nostri” – “i loro”, non esistono. Per un cristiano, ogni persona è figlio di Dio, ogni persona è un fratello e tutti siamo chiamati a riconoscerci tali.  Allora le barriere si superano. Qualsiasi persona che sia vicina, che comunque chieda qualcosa che io posso dare, dobbiamo essere disponibili. Così si superano tante remore e tante difficoltà. Porto sempre l’esempio del “Padre Nostro”: Gesù ci ha insegnato a dire “Padre nostro”, non “Padre mio, mio, mio”. Che confine ha questo “nostro”? Quelli della mia famiglia? Quelli del mio vicinato? Quelli della mia città? Quelli del mio Paese? E’ un “nostro” universale, quello che Gesù ha voluto darci…

D. – Mons. Nosiglia, la lettera guarda anche al sociale, alla mancanza del lavoro, alla povertà e sollecita un confronto con le Istituzioni, le fondazioni bancarie, le imprese e i sindacati…

R. – Abbiamo attivato una cosiddetta agorà sociale, in cui abbiamo posto al centro il problema della formazione e del welfare e invitato a confrontarsi, in modo concreto, tutte le realtà: quelle ecclesiali, quelle civili, quelle istituzionali, il volontariato, l’Unione industriali. Per questo abbiamo costituito una cabina di regia che cerca di dare operativamente una risposta alle esigenze più importanti. La prima e fondamentale che abbiamo oggi  a Torino è il lavoro. Il lavoro condiziona poi tutto il resto. Condiziona l’affitto di casa, e quindi chi non può pagare l’affitto si trova poi senza casa; condiziona a volte la vita stessa delle famiglie nel rapporto reciproco tra genitori e figli; condiziona soprattutto i giovani che si trovano in una situazione di apnea oppure di limbo, nel senso che non hanno più speranza per il futuro. Io sto avvicinando molti giovani, molti adolescenti in questo momento. Spesso chiedo loro: “Ma cosa vedete come futuro?”. Rispondono: “Un muro”. Il muro si può abbattere, ma dobbiamo farlo insieme, ciascuno prendendo le proprie responsabilità. Solo facendo squadra, facendo rete – come si dice oggi – un po’ tra tutte le realtà che contano, che hanno possibilità di dare risposte concrete ai nostri giovani come a tutta la gente, si può uscire fuori dalla crisi.








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