2017-01-04 14:59:00

Cona, migranti trasferiti. Anci: dai sindaci sì all'accordo


Sono un centinaio i migranti trasferiti in Emilia Romagna dal Centro di accoglienza di Cona, teatro delle proteste dei giorni scorsi dopo la morte, per cause naturali, di una giovane donna ivoriana. Intanto si apre la polemica sulle politiche da adottare. La necessità di una accoglienza diffusa è stata ribadita dal presidente dell’Anci, l’Associazione dei Comuni, nonché sindaco di Bari, Antonio Decaro, che risponde ai prefetti per i quali non tutti i sindaci sarebbero pronti ad ospitare. “I comuni che accolgono i migranti, a oggi, sono davvero troppo pochi”, è l’avvertimento dei prefetti, al quale però si oppone Decaro, che si dice fiducioso che i primi cittadini saranno pronti a sottoscrivere l’accordo che l’Anci ha firmato con il Viminale e quindi ad accogliere un certo numero di migranti. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

R. – Non sono sicuro dell’adesione da parte di tutti i sindaci, sono sicuro che però i sindaci saranno invogliati, nel senso che l’accordo prevede 2,5 migranti per ogni mille abitanti ed è chiaro che situazioni come quella di qualche giorno fa (nella struttura di Cona ndr) dove, in una comunità di 3 mila persone è stata utilizzata una caserma per ospitare 1.400 migranti, con la clausola di salvaguardia non potranno più accadere. Nel senso che in quel Comune con 3 mila abitanti e quella percentuale ci saranno al massimo 8 migranti che verranno accolti direttamente dalla comunità, dal sindaco, attraverso un progetto Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e scatterà la cosiddetta clausola di salvaguardia. Nessuna prefettura potrà utilizzare caserme, edifici pubblici o strutture ricettive, aumentando il numero di migranti in quella comunità. Il problema che abbiamo vissuto in questi anni è legato all’impatto di un numero elevato di migranti rispetto alla comunità che ospita: quando il numero dei migranti è eccessivo è chiaro che si possono creare problemi per i migranti,  perché tutti all’interno di una stessa struttura. Ci sono poi problemi di impatto sulla comunità che ospita, perché in un comune di 3 mila abitanti portare 1.400 persone è chiaro che crea un problema anche nella gestione dei servizi.

D. – Lei ha già dato la sua approvazione, è favorevole all’accordo Sprar e ci crede molto. Molto meno crede alla riapertura dei Cie (Centri di identificazione e di espulsione) …

R. – Credo al fatto che i sindaci ci mettono la faccia e decidono di fare l’accoglienza: la fanno loro, sono loro a spiegare alla loro comunità, ai propri cittadini, da dove vengono queste persone e quindi si stabiliscono delle regole, si possono utilizzare i servizi sociali, i servizi sanitari, insomma c’è un minimo di integrazione. Per quanto riguarda i Cie, se devono diventare strutture dove collocare per un massimo di 90 giorni persone che abbiano commesso dei reati e quindi debbano essere poi espulse, va bene. Ma se devono diventare dei ghetti, come è avvenuto in passato, noi su questo non siamo d’accordo.

D. – Una questione – anche estremamente delicata – è quella delle cooperative che gestiscono queste strutture. In un passato recente abbiamo visto non poco malaffare nella gestione di queste cooperative. Come si può bypassare anche questo problema?

R. – Facendo dei controlli! E’ chiaro che dove ci sono soldi, dove c’è l’economia, arrivano le aziende e molte aziende magari non si comportano correttamente. E’ un settore molto delicato e andrebbero probabilmente incrementati i controlli. Quello che abbiamo letto sui giornali, visto in televisione o ascoltato in radio, dimostra che in questo settore si sono infilate delle aziende che non hanno scrupoli e questa attività non va confusa con il volontariato: sono due cose diverse. Ci sono cooperative o aziende che lavorano in questo settore, tante e molto brave.  C’è il terzo settore con le cooperative sociali private che fanno un lavoro straordinario, ma ci sono cooperative e aziende che invece cercano di lucrare sulla pelle dei migranti. E’ chiaro che se c’è un’accoglienza diffusa non hai 1.400 persone concentrate nella stessa struttura con una gara che ha fatto la prefettura, ma quelle 1.400 persone vengono distribuite su territorio provinciale con tante piccole gare che fanno i comuni utilizzando piccole strutture ricettive: appartamenti, locali di proprietà del Comune… Non c’è una concentrazione, sono diverse piccole gare e non c’è una concentrazione di migranti, quindi è difficile che arrivi l’azienda che specula sulla vita di queste persone che scappano, nella maggior parte dei casi, dalla guerra e dalla fame.








All the contents on this site are copyrighted ©.