2017-01-13 13:49:00

Vescovi in Terra Santa. Mons. Fontana: aiutiamo i cristiani


Da domani al 19 gennaio i vescovi dell’Holy Land Coordination torneranno in Terra Santa per la visita annuale che si svolge nel mese di gennaio. A partire saranno 13 presuli delle Conferenze episcopali di Usa, Canada e Sudafrica, assieme al Consiglio delle Conferenze episcopali europee e alla Comece che da Jaffa, dove parteciperanno alla Messa dei Popoli, si sposteranno al Centro pastorale per i Migranti di Tel Aviv e poi faranno base a Betlemme per visitare Hebron, Gerusalemme Est e la comunità cristiana di Gaza. In rappresentanza della Cei ci sarà l’arcivescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, mons. Riccardo Fontana, non nuovo a questi viaggi, che al microfono di Roberta Barbi racconta qual è il momento che attende con più trepidazione:

R. – L’incontro con i miei fedeli vescovi di tutta l’Europa, perché ritrovarci insieme aiuta ad avere una visione sempre più operativa di che cosa si può fare per aiutare i cristiani che sono in Terra Santa. Per esempio, uno dei temi più grossi è far riprendere i pellegrinaggi, perché i nostri ci vivono con l’aiuto che può venire dall’estero, non cercano tanto elemosina quanto lavoro; quindi l’idea di scendere giù con i nostri pellegrini - c’è una tradizione italiana fortissima – ma le notizie sulla sicurezza fermano tanti pellegrinaggi.

D. – Lei è già stato in Terra Santa: cosa è cambiato in questi anni, secondo la sua esperienza, per la minoranza cristiana che vive laggiù?

R. – La minoranza è sempre più minoritaria. C’è un fenomeno complesso, che è quello dei cristiani di Terra Santa di ogni rito - anche quindi di rito latino - che abbandonano la Terra Santa perché ci sono difficoltà enormi e chi ha la possibilità – o parenti o professionalità per andare all’estero – cerca di ricostruirsi la vita altrove. Fare i testimoni è bellissimo… Poi però la vita quotidiana non sempre è facilitata.

D. – Queste visite annuali servono anche a stabilire gli aiuti da portare laggiù. Come possiamo aiutare i nostri fratelli che vivono in Terra Santa?

R. – Ci sono vari livelli e varie organizzazioni. La Holy Land Coordination non ha una funzione decisionale: noi andiamo a prendere atto della realtà che c’è intorno e ne riferiamo alle rispettive Conferenze episcopali. Direi, però, che è in perfetta sintonia con lo spirito di Papa Francesco che ci chiede di farci presente accanto a chi soffre.

D. – In questo modo si tiene anche alta l’attenzione sui rapporti tra israeliani e palestinesi: quanto è importante informare su cosa succede realmente?

R. – Nella tradizione della Holy Land Coordination noi andiamo a incontrare le autorità dell’una e dell’altra parte, portando a tutte il messaggio cristiano della collaborazione e della vicendevole assistenza. È evidente che ci sono situazioni che possono essere migliorate.

D. – Mentre voi sarete in Terra Santa, Papa Francesco, domani, riceverà in udienza il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, che poi inaugurerà l’ambasciata di Palestina presso la Santa Sede. Come leggere questo evento?

R. – Come un ulteriore passo nella linea dei Papi suoi predecessori, che hanno voluto stabilire contatti con tutti e affermare la dignità del popolo palestinese, che è un’identità sia culturale sia sociale, sia identitaria nel senso più stretto del termine. Bisogna pur riconoscere il diritto dei palestinesi, naturalmente salvo i diritti degli israeliani. Credo che sia importante affermare ogni rispetto verso Israele di Dio: cioè gli ebrei sono degni di ogni considerazione e rispetto. Il governo israeliano non si identifica con la religione ebraica. Bisogna stare attenti e richiamare ai principi tutti quanti, così come in terra di Palestina non c’è un’unica identità con cui trattare. Se non si arriva a una forma di rappresentatività statuale non si arriva alla conclusione di nulla.

D. – Nel recente discorso al corpo diplomatico accreditato in Vaticano, il Pontefice aveva rinnovato il suo appello alla pace in Medio Oriente. Francesco ha più volte esortato le parti affinché la soluzione dei due Stati non rimanesse un sogno…

R. – Questo senz’altro! E anche la nostra presenza giù nelle zone più calde sarà proprio a dire: “Smettiamola di fare del male vicendevolmente!”.








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