2017-01-14 17:30:00

La storia di Dhurata: in gommone in Italia a soli sette anni


Tante sono le storie, spesso drammatiche, di questa Giornata mondiale del migrante dedicata ai minori. Noi vi proponiamo una vicenda positiva, quella che ha come protagonista Dhurata, una giovane albanese arrivata in Italia con la sua famiglia quando aveva solo sette anni, dopo un pericoloso viaggio in gommone e che oggi aiuta i rifugiati al fianco dei Gesuiti del Centro Astalli. Ascoltiamo la sua testimonianza al microfono di Marina Tomarro

R. – Sono arrivata in Italia all’età di 7 anni, nel ’98, insieme alla mia famiglia. I miei genitori hanno detto: “O si parte tutti insieme oppure non va nessuno…”. Perché di solito vengono prima gli uomini e poi fanno arrivare la famiglia. Abbiamo quindi deciso di partire con il gommone e siamo arrivati via mare… Il viaggio è stato molto duro! Gli scafisti avevano promesso ai miei genitori che ci avrebbero portato fino a riva… Nel gommone non eravamo soltanto noi, la nostra famiglia, ma c’erano tante persone: era pieno! E gli scafisti ci hanno preso e ci hanno buttato in mezzo al mare, minacciandoci con le armi… Ci hanno abbandonato lì e sono scappati. Noi bambini non sapevano nuotare: mio fratello aveva 5 anni… Noi siamo sopravvissuti grazie all’aiuto delle altre persone che stavano nel gommone: ci hanno preso sulle loro spalle e ci hanno portato a nuoto fino a riva…. Non è stato facile! Siamo arrivati a riva, ma non abbiamo certo trovato una casa e per giorni abbiamo dormito fuori … Poi da Lecce siamo arrivati a Roma e anche a Roma abbiamo dormito nelle baraccopoli per tanti anni, finché mia madre ha cominciato, piano piano, a lavorare prima nelle serre, poi a fare le pulizie ed è riuscita a fare un ricongiungimento familiare.

D. – Dhurata, quando vedi le immagini delle altre persone che hanno vissuto la tua esperienza, cosa pensi? Secondo te cosa si dovrebbe fare di più?

R.– Bisognerebbe aiutarli il più possibile ad integrarsi e non avere paura di loro, non giudicarli, perché siamo tutti uguali. Soprattutto siamo persone che soffrono. E non vengono a toglierci niente! Io quando sono venuta non ho tolto, anzi! E la stessa cosa vale per loro. Io mi sono presa un anno di aspettativa dal mio lavoro per lavorare adesso per il servizio civile con i rifugiati, perché fa parte della mia vita e non me ne vergogno.

D. – E cosa ti dicono loro? Cosa ti raccontano?

R. – Mi raccontano come sono venuti qua e che fanno fatica ad imparare l’italiano. Sono abbattuti perché non riescono a trovare lavoro. Allora io li rassicuro sempre e gli dico: non vi preoccupate, perché anch’io, quando sono venuta qua, ero con mia madre e anche lei aveva difficoltà a parlare l’italiano; anche lei è stata rifiutata… Bisogna solo avere pazienza e soprattutto non mollare mai!








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