2017-01-16 13:30:00

Parigi rilancia colloqui israelo palestinesi e punta ad avere due Stati


Obiettivo raggiunto a Parigi nella Conferenza convocata dalla Francia per sostenere la ripresa del processo di pace israelo-palestinese: quello di impegnarsi per una soluzione a due Stati. Ma l’assenza dei due contendenti tra i Paesi partecipanti all’assise lascia in campo tutte le incognite per un’intesa, che appare ancora tanto lontana, sul piano diplomatico ed operativo. Il servizio di Roberta Gisotti:

“Una mano tesa”ad israeliani e palestinesi – secondo il capo degli Esteri francese Ayrault – quella dei 75 Stati presenti a Parigi, perché il più antico dei conflitti in Medio oriente, ha ricordato il Presidente francese Hollande, torni al centro della scena internazionale, a pochi giorni dall’arrivo alla Casa Bianca del neoeletto Presidente degli Stati Uniti, Trump, che potrebbe trasferire l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendole di fatto il ruolo di capitale, una provocazione per molti Paesi arabi, che avrebbero voluto una censura netta a questa ipotesi nel documento finale di Parigi, dove si è invece puntato a rilanciare l’impegno per una soluzione a due Stati, cercando di aggirare l’avversione del premier israeliano Netanyahu, che non ha voluto partecipare ritenendo questa conferenza di Parigi un passo indietro inutile, che – aveva denunciato - potrebbe allontanare negoziati diretti tra le parti senza precondizioni. Lo stesso Netanyahu avrebbe poi apprezzato i toni 'addolciti' nella dichiarazione finale di Parigi, specie rispetto all’ultima risoluzione Onu del dicembre scorso, di condanna sulle colonie ebraiche in Cisgiordania. Più aperto a raccogliere i frutti di Parigi sarebbe il Presidente palestinese Mahmud Abbas - noto come Abu Mazen - ricevuto in Vaticano dal Papa sabato scorso, e che è stato presente a Parigi, pur non sedendo al tavolo della Conferenza.

Ma perché questo Summit senza i protagonisti? Abbiamo girato la domanda al prof.  Arduino Paniccia, docente di Studi strategici all’Università di Trieste e direttore della Scuola di competizione internazionale di Venezia.

R. – E’ evidente che la Francia non rinuncia al suo ruolo diplomatico internazionale ed ha un duplice obiettivo: ricucire le relazioni nel Mediterraneo della Francia futura e fare delle proposte all’amministrazione Trump. E poiché il Presidente americano eletto non ha assolutamente parlato del problema di Palestina e di Israele, la Francia tende evidentemente a riempire intanto questo vuoto. Ma non soltanto: crea un legame per il futuro con i Paesi arabi e quindi si ripropone come mediatore internazionale sulla scena del nuovo ordine dopo l’elezione di Trump.

D. – Il Presidente Trump ha, però, lanciato l’idea di spostare la sede dell’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme:  quindi sarebbe come un riconoscimento di fatto del ruolo di capitale…

R. – Certamente è ancora difficile intercettare quelle che saranno le linee diplomatiche della nuova amministrazione americana. Va però riconosciuto che la Francia è, in questo momento, l’unico Paese europeo che si è mosso, cercando di tracciare un minimo di linea europea – e quindi di rappresentarla – nei confronti dell’amministrazione americana. Infatti si dà per scontato che la Gran Bretagna - le cui riserve sono apparse evidenti - sarà un alleato strettissimo dell’amministrazione Trump e a questo punto in Europa rimane, in questo momento, soltanto la voce dei francesi, considerando che l’Italia, la Germania e gli altri Paesi sono assolutamente silenti.

D. – Quindi una conferenza che è più servita ai Paesi che sono interessati a questo conflitto che ai protagonisti del conflitto?

R. – Questa è esattamente l’evidenza di questa conferenza: quindi una conferenza monca, una conferenza in cui mancano le parti in causa. Però dei segnali da parte di Israele sono arrivati, anche se assolutamente sotto traccia. Vi sono sicuramente stati dei contatti forti con la nuova amministrazione americana, che prenderà il comando tra pochi giorni. Quindi diciamo che con questa mossa - piena non solo di luci ma anche di molte ombre – i francesi si stanno candidando, secondo il loro stile e la loro tradizione, a ricoprire un ruolo molto forte, tentando di far capire che la Gran Bretagna sarà un semplice ‘alleato degli Stati Uniti’ e che quindi il ruolo dell’Europa, in questo momento, dovrebbe essere preso soprattutto dai francesi e poi da coloro che eventualmente seguiranno. In più – come dicevo prima – vi è un chiarissimo ponte verso i Paesi arabi, che in questo momento ricoprono soltanto i francesi, visto l’impasse sulla Libia dell’Italia e vista l’assoluta assenza della Germania dalla scena internazionale.

D. – E’ comunque un bene che il mondo torni a ricordarsi di quello che è il più antico dei conflitti in Medio Oriente…

R. – Certamente! Molte cose, tantissime, sono nate da lì. Vi sono state poi delle evoluzioni, vi sono stati dei grandissimi cambiamenti… Ad un certo momento sembrava che la questione non interessasse più, se non coloro che ne erano direttamente coinvolti. Ma quel nodo resta uno dei più grandi e non solo delle vicende del Mediterraneo, ma di tutte le vicende diplomatiche internazionali.








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