2017-01-23 14:15:00

Dal Kazakhstan speranze di pace per la Siria


Le speranze di pace per la Siria si spostano da oggi in Kazakhstan. Nella capitale Astana sono iniziati i colloqui tra le opposizioni e il governo di Damasco. Le trattative sono mediate da Russia e Iran, che sostengono i lealisti, e dalla Turchia, che sostiene i ribelli. Sulle possibilità che quest’iniziativa diplomatica giunga a buon fine, Antonella Palermo ha intervistato Lorenzo Trombetta, corrispondente dell’Ansa a Beirut:

R. – L’incontro di Astana è un incontro prettamente tra delegazioni militari. A sedere intorno al tavolo esponenti anche politici; ma dietro di loro, o accanto a loro, leader militari delle varie fazioni che si combattono in Siria,  e che sono sostenute da vari attori regionali e internazionali. L’obiettivo principale, e forse l’unico, è quello di mettersi d’accordo sulle linee del cessate-il-fuoco; e questo è comunque un aspetto importante, con delle ripercussioni politiche, ma che ha delle prospettive a breve-medio termine. L’impianto dei vari colloqui che sono stati tentati a Ginevra era invece basato sull’idea che si dovessero affrontare prima i principali nodi politici – ovvero chi governerà Damasco – e quindi da qui, a cascata, si sarebbe risolto anche l’aspetto militare. L’approccio russo è invece un approccio di tipo militare: affrontiamo la questione militare, prendiamo tempo, e comunque Assad, che è il principale personaggio sostenuto dai russi, rimane saldamente al potere.

D. – Come inciderà l’assenza americana?

R. – Incide come ha già inciso l’assenza americana, di fatto da parecchi mesi, nello scenario diplomatico. Da quando è arrivato alla Segreteria di Stato John Kerry, Obama e la Casa Bianca hanno comunque smesso di avere un proprio ruolo. In qualche modo hanno lasciato sempre più esplicitamente la mano alla Russia, definendola rivale, ma di fatto un vero e proprio partner. E la conferenza di Astana, che segue la presa di Aleppo Est proprio da parte dei russi, degli iraniani e delle forze governative, è l’apice della forza diplomatica militare russa e dei suoi vari alleati, ma anche in qualche modo dell’assenza politica e militare degli Stati Uniti in Medio Oriente.

D. – Quanto sei fiducioso e cosa ci sarà però da aggiungere a questi stessi colloqui?

R. – Sono più ottimista di tutta una serie di approcci che in qualche modo venivano calati dall’alto. Ci saranno ovviamente dei segnali di fallimento; ma mettere intorno al tavolo dei leader militari delle varie fazioni che si combattono sul terreno non è un’impresa facile, e comunque i russi, i turchi e gli iraniani ce l’hanno fatta: già questo è un segnale di ottimismo. Per la normalizzazione in Siria, ovviamente, ci vorrà molto molto tempo – molti anni – però, se sul terreno si comincia per esempio a sparare di meno, e le comunità siriane cominciano a tornare a una normalità locale, non a livello globale e nazionale, questi sono comunque dei passi avanti propedeutici a una normalizzazione a livello nazionale. Ma comunque per questo ci vorranno davvero anni.








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